La conclusione dei lavori degli Stati Generali, realizzati sul set di Villa Pamphilj, ha confermato il vezzo biasimabile di una certa classe politica di agire nella sfasatura fra l’ampiezza degli annunci e la scarsità dei risultati. Gli Stati Generali sono stati allestiti in un mega palcoscenico per nutrire l’ego predace del premier Conte in una sorta di realtà mediaticamente aumentata.
Gli autori dell’evento, distribuito in 9 giorni di consultazioni, lo descrivono un successo come emerge dalle parole del segretario del Pd Nicola Zingaretti: «Nessun Governo ha mostrato la stessa volontà di coinvolgimento e di ascolto messa in campo dal nostro Esecutivo. Dagli Stati generali esce un lavoro utile per costruire la nuova agenda di Governo e soprattutto per essere pronti alle sfide per la rinascita». Stucchevole il tentativo della maggioranza di governo, responsabile del declino in corso del Paese, di rivendicare l’iniziativa del risveglio, attribuendosi virtù finora sconfessate. Impegnare nove giorni per una mera ricognizione delle urgenze ataviche inasprite dall’emergenza pandemica, che impongono risposte celeri, ha significato ribadire il risaputo in un esercizio di futile ripasso dell’ovvio.
Nel mentre la nostra economia è sempre più esangue, il tessuto produttivo continua a sanare le negligenze dell’Inps di Tridico, anticipando la Cig ai lavoratori, l’Unione europea si attarda in vertici con posizioni eterogenee, che preludono ad una divergenza non componibile, le navi delle Ong hanno ripreso a traghettare i clandestini, assediando la Sicilia, e nel sistema giustizia si assiste al conflitto endemico fra toghe con l’ex presidente del sindacato dei magistrati, Luca Palamara, che reagisce all’espulsione dall’Anm spifferando le trame correntizie subordinate al carrierismo dei suoi associati. Uno scandalo che rischia di far implodere l’ordine della magistratura senza una sua riforma radicale realizzata con spirito costituente dal Parlamento.
In tale deprimente quadro economico ed istituzionale la maggioranza rossogialla, anziché agire con gli strumenti disponibili o immediatamente attivabili, si mostra in atteggiamenti inoperosi che ne attestano la sconnessione dalla realtà. Le parole enfatiche di Conte, in conclusione, della kermesse sono sintomatiche dello scollegamento dalla materialità di una crisi che affligge la quotidianità degli operatori economici. Infatti, il riferimento del premier alla «rivoluzione green» e alla «digitalizzazione» sono espressione del manuale retorico a cui si conforma il governo, che non tiene conto dell’ossatura produttiva costituita per oltre il 90% da piccole e medie imprese, il cuore pulsante del sistema economico, che hanno bisogno di risorse per riprendere a fatturare e a mantenere i livelli occupazionali.
Conte si è rintanato in una bolla mediatica più confacente al reality che alla realtà delle imprese e delle famiglie, che sono indispettite dalla recita ottimistica di una politica che non produce soluzioni in una inconcludenza che minaccia, peraltro, di sabotare la residuale vitalità economica. I ricavi delle Pmi nel 2020 rischiano una contrazione fra il 50 e il 70 per cento, rispetto all’anno precedente, e per evitarne il decesso, con la conseguente disoccupazione di milioni di lavoratori in esse impiegati, occorrono trasferimenti non rimborsabili, differimento delle scadenze fiscali e taglio delle tasse. Il canale di finanziamento si può attivare reperendo i fondi attraverso l’emissione di titoli di Stato, che hanno un mercato capace di assorbire nel breve periodo una quantità pari a 100 miliardi di euro, con l’aggiunta delle ingenti risorse (circa 180 miliardi) rese disponibili dal quantitative easing pandemico della Banca Centrale europea.
Il premier Conte abbandoni il reality e si immerga nella realtà per tentare di dedicare il suo tempo alle soluzioni velocemente applicabili, perché il Paese non ha più tempo per perdere tempo.
Andrea Amata, 23 giugno 2020