Basta trucchi sul fisco

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Un ristorante McDonald’s in Italia impiega trenta dipendenti. Un suo simile in Spagna quaranta. Il costo delle materie prime (spesso italiane in tutta Europa) è equivalente: ciò che cambia è il costo del lavoro. Il padroncino del Mac a Madrid può permettersi dieci dipendenti in più del suo omologo a Milano, a parità di fatturato e profitti.

Questo è il cuneo fiscale, di cui si parla da anni. I nostri dipendenti costano tanto e incassano poco. Le nostre imprese debbono dunque arrangiarsi: assumere meno (o, quando possono, in grigio o in nero) e fornire servizi un po’ meno sofisticati.

È il paradosso Big Mac. Il panino costa uguale ma per servirlo da noi siamo costretti ad assumere meno personale. Da un punto di vista generale la tassazione sul lavoro è dunque micidiale. Come spesso avviene, ci si batte su fronti contrapposti: meno tasse sulle imprese contro meno tasse in busta paga.

Nel passato era: meno tasse sulle case o meno tasse sul reddito. Le coppie possono essere infinite. E le scuole economiche si dividono in mille specialisti convinti di avere la ragione assoluta. Confindustria, comprensibilmente, vuole meno tasse sulle aziende (Irap ad esempio) per ridurre il paradosso Big Mac.

I sindacati, comprensibilmente, meno tasse sui redditi (preferibilmente bassi) per rilanciare la domanda, che in effetti è crollata di un centinaio di miliardi di euro in due anni. Il premier Renzi sembra preferire questa seconda strada. Ci permettiamo di dare solo due consigli di buon senso.

1) Qualsiasi taglio fiscale avrà un effetto generale solo se chiaro, netto e di dimensione importante. L’economia è fatta di aspettative e di fiducia: se le riduzioni fiscali sono simboliche o figlie di mediazioni che dividono le poche risorse in mille rivoli per accontentare tutti servono poco-nulla.

2) Se a un taglio fiscale si associa un aumento tributario da qualche altra parte l’effetto complessivo è negativo. Banale? Mica tanto. Se alle riduzioni si dovesse associare un aumento delle imposte sulle rendite finanziarie, di cui si parla in queste ore, si darebbe l’impressione di prendere come al solito per i fondelli i lavoratori, che sono anche risparmiatori e spesso anche imprenditori-autonomi.

Il caso di scuola è stata la sostituzione dell’Imu con la Tasi. Una beffa.

Nicola Porro, Il Giornale 10 marzo 2014

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