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Battisti in manette. Per anni lo hanno protetto, ora sconti la pena

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Cesare Battisti, l’ex terrorista e criminale comune, è stato arrestato dalla polizia brasiliana in Bolivia. Bolsonaro, neopresidente del Brasile, mantiene la sua promessa elettorale e spezza la rete di connivenze che ha sempre salvato Battisti. Un soccorso rosso internazionale. Intellettuali e star (da Carla Bruni a Bernard-Henry Levy) sono convinti che Cesare Battisti sia uno scrittore di noir incastrato e perseguitato dalle forze dell’ordine italiane per le sue idee.

Battisti, che durante la latitanza ha pubblicato alcuni gialli, incarna la figura dello scrittore maledetto. Evaso dal carcere di Frosinone nel 1981 dopo essere stato condannato a 12 anni in primo grado per banda armata, è stato condannato in seguito all’ergastolo in contumacia per partecipazione a quattro omicidi di ferocia inaudita. Dubbia anche la matrice terroristica. Battisti e il resto della banda cercavano soldi. Per la rivoluzione? Per le proprie tasche? Latitante in Messico e poi in Francia, Battisti è st ato il più “coccolato” tra gli assassini.

Appelli in suo favore sono stati sottoscritti da Massimo Carlotto, Tiziano Scarpa, Nanni Balestrini, Daniel Pennac, Giuseppe Genna, Giorgio Agamben, il vignettista Vauro, Pino Cacucci, Christian Raimo, Sandrone Dazieri, Loredana Lipperini, Marco Philopat, Gianfranco Manfredi, Laura Grimaldi, Antonio Moresco, Carla Benedetti, Stefano Tassinari. Firmò anche Roberto Saviano, che ritirò la firma dopo aver raggiunto il successo. Aveva firmato a sua insaputa. Quando in Francia le cose si misero male, Battisti si rifugiò in Brasile, dove i socialisti di Lula promettevano protezione.

Il maresciallo Andrea Santoro fu la prima vittima dei Pac, il 6 giugno 1978. Nel 1979, altri tre omicidi. Il 16 febbraio la prima, duplice azione: a Milano fu ucciso il gioielliere Pierluigi Torregiani; a Mestre il macellaio Lino Sabbadin. Nella rivendicazione fu scritto che «era stata posta fine» alla loro «squallida esistenza». Il gioielliere e il macellaio avevano in comune una cosa: spararono e uccisero un rapinatore. E per questo furono puniti; una vendetta insomma. Torregiani fu ammazzato poco prima delle 16, davanti alla sua gioielleria nel rione Bovisa. Gli spararono mentre usciva dal negozio assieme al figlio: il gioielliere fece in tempo ad estrarre la pistola e a far fuoco, ma non a salvarsi. Suo figlio, poco più che adolescente, invece si salvò. Ma fu ferito alla spina dorsale e rimase paralizzato. Due ore dopo, alle 18 fu la volta di Lino Sabbadin. Due giovani entrarono nella sua macelleria a Santa Maria di Sala e gli spararono con una calibro 6,35. La colpa di Sabbadin era quella di aver ucciso un rapinatore che due mesi prima era entrato nella macelleria. Il ’79 dei Pac non era ancora finito: il 19 aprile fu la volta di Andrea Campagna, agente della Digos milanese, uno «sbirro». Uno sconosciuto si avvicinò al poliziotto appena 25enne in via Modica, a Milano, nel quartiere della Barona, e sparò. Cinque colpi di pistola calibro 375 magnum lo colpirono nella zona sinistra del torace, in corrispondenza del cuore. Per lui non ci fu nulla da fare. Poco dopo una telefonata al «Secolo XIX» e a «Vita» rivendicò l’omicidio a nome dei Proletari Armati per il comunismo.

È tempo che Battisti sconti la pena.

Alessandro Gnocchi, 13 gennaio 2019