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Battisti non è un “soldato” di una guerra persa, ma un delinquente

Avrete seguito le vicende relative alla cattura di Cesare Battisti, il terrorista dei Pac, condannato per aver ucciso quattro persone e per averne ferite altre tre. Quando il caso Battisti venne alla luce, gli intellettuali si schierarono in sua difesa e lui scappò in Francia, dove venne accolto per via della dottrina Mitterand. Qui, ebbe una insperata nuova carriera come autore di gialli e di noir.

Gli intellettuali italiani si schierarono in suo favore sostenendo che il processo a suo carico era stato ingiusto e che, quindi, Battisti era un perseguitato. Peccato che lui stesso abbia confessato, una volta in carcere, di aver compiuto quegli omicidi. Naturalmente gli intellettuali non hanno cambiato idea. Si è arrivati a casi di comicità involontaria, in cui alcuni suoi accesi sostenitori – ad esempio la scrittrice francese Fred Vargas – hanno dichiarato di non credere alla sua confessione.

Ma c’è un altro tema che adesso sta emergendo e che è interessante affrontare: Battisti ha detto che lui era il “soldato” di una guerra che ha perso e su questa linea di interpretazione si sono schierati diversi commentatori, soprattutto sulle pagine di Repubblica. Ma che guerra! Parliamo di delinquenti che sparavano a innocenti. Non meritano di essere nobilitati con la storia della “guerra”. Erano convinti di fare la rivoluzione “segando” le gambe o sparando in faccia ai commercianti (magari approfittando per arraffare quanto c’era in cassa).

Insomma, erano delinquenti, assassini, ladri con il pretesto della lotta armata, no soldati. In Italia non c’èra una guerra se non nelle loro povere teste…