Considerazioni controcorrente sull’emergenza di Paolo Becchi e Giulio Tarro.
Oggi abbiamo un Cts, che consiglia il Governo, composto in larga prevalenza da medici, a cui se ne vorrebbe contrapporre un altro, istituito dal Parlamento, formato da altri medici. Il rischio è che la cosiddetta “guerra al virus” si trasformi in una guerra tra virologi. Diciamola tutta, non ci pare una grande figata. Meglio sarebbe, a nostro modesto avviso, un “Consiglio interdisciplinare” di saggi, composto da medici, filosofi, giuristi, economisti, psicologi, sociologi, antropologi, teologi, letterati, uomini di cultura, che affronti l’emergenza da punti di vista diversi e non unicamente da quello sanitario.
Una pandemia non è solo una questione medica ma è un fenomeno sociale e come tale andrebbe affrontata. La malattia è di solito nelle società moderne un fatto privato, intimo, anche se oggi qualche volta viene spettacolarizzata. Il cancro è tuo e te lo gestisci come vuoi, ma un virus è contagioso e qualche volta fa male, molto male anche a chi ti è vicino. Insomma, una malattia virale è una malattia sociale e ci riguarda tutti, sani e malati. Potrebbe essere l’inizio di un percorso, se altri fossero d’accordo nel seguire questa idea: si tratta di mettere insieme un gruppo di persone libere che con diverse competenze si interroghi su quello che sta avvenendo oggi in Italia e nel mondo a causa di un “ospite indesiderato”, che sta cambiando le nostre vite e con cui probabilmente dovremmo imparare a convivere. Contrapporre Palù a Crisanti, Bassetti a Burioni, non ci porta lontano. Anzi è destinato a creare nell’ opinione pubblica maggiore confusione, e quindi maggiore disorientamento e panico. Ecco le domande da cui prendere le mosse a cui fanno seguito alcune domande più specifiche.
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Che fare?
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Come leggere l’aumento dei morti in questi giorni?
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Cosa è sbagliato fare?
1. Che fare?
La Covid19 non è sparita dopo sei mesi come la prima Sars, poteva ricomparire come la Mers, ma in maniera localizzata e invece è diventata stagionale, come l’Aviaria che è ricomparsa in Giappone proprio in questi giorni. Siamo pertanto destinati a convivere con questo virus. Per questo serve una cura farmacologica e non solo un vaccino. Il virus è mutevole, anche questa è la conclusione a cui è giunta la comunità scientifica. Ma sappiamo come affrontarlo. Vi è una terapia per la forma iniziale di presentazione della malattia basata sull’ossiclorochina e sull’azitromicina, vi sono poi degli antivirali come il remdesivir, usato già per l’ebola, il fapilavir (avigan), dal 2014 prodotto in Giappone, e l’ivermectin, usato già in Australia per la dengue e la zika. Inoltre, conosciamo l’importanza dell’eparina e dei suoi derivati insieme al cortisone, in particolare il desametazone, per il problema della tromboembolia dei piccoli vasi degli organi vitali ed infine la sieroterapia con gli anticorpi specifici dei guariti, che viene adesso utilizzata anche come profilassi per 35 mila operatori sanitari in USA.
La malattia è dunque sin da ora guaribile, anche se non abbiamo ancora il vaccino. La domanda è: vengono i malati in Italia sottoposti a queste cure? Infine, la terapia dei soggetti diagnosticati con la virosi all’inizio della stessa, si tratta all’incirca dell’80% dei pazienti, può essere curata da casa con l’assistenza del medico di famiglia. Le cure domiciliari sono fondamentali per alleggerire gli ospedali, ma i medici di base sono purtroppo lasciati al loro destino e a questo punto diventa per loro difficile garantire visite domiciliari a pazienti. Per le vere emergenze ovviamente sono necessari, su tutto il territorio nazionale, posti di terapia intensiva, e qui è del tutto evidente che il governo non è stato all’altezza del compito. Come del resto non è all’altezza nella gestione delle RSA che stanno di nuovo presentando le stesse problematiche riscontrate in primavera.
Un ulteriore importante aspetto è il seguente: invece di tenerli riservati i documenti del Cts andrebbero divulgati, con tutti i dati epidemiologici che possono essere utili a contrastare la diffusione del virus. Andrebbe pertanto istituito a livello nazionale un database pubblico con tutti i dati utili. Da questi semplici dati ci sembra di poter concludere che la gestione dell’emergenza sia stata fallimentare.
Come leggere l’aumento dei morti in questi giorni
Un discorso a parte, ma ovviamente collegato all’aumento del numero dei morti in questi giorni, riguarda le degenze delle terapie intensive e la percentuale dei malati di Covid sui ricoverati totali. I pronti soccorsi pieni non rappresentano un “disastro”, visto che il 60% dei pazienti è in codice verde. I ricoveri nelle terapie intensive, che ad oggi non hanno alcun problema in termini di numeri e di posti occupati, sono principalmente dovuti ad altre malattie. Un soggetto potrebbe essere stato intubato anche a seguito di un incidente stradale o sul lavoro e solo dopo il tampone risultare anche positivo alla Covid-19.
Questo determina numeri complessi in quanto in caso di ipotetico decesso futuro la causa della morte non sarà stata certamente la malattia virale, anche se è al virus che verrà imputata. È la nota questione del decesso con Covid e decesso per Covid. I numeri dunque non sono – a nostro avviso – corretti, ma con i numeri vengono giustificate le iniziative ed i provvedimenti presi dal governo e dalle giunte regionali. Ovviamente siamo pronti ad ammettere che proprio nelle ultime settimane la mortalità sia aumentata in Italia in modo significativo, ma bisogna chiedersi perché questo sia avvenuto. Si tratta della conseguenza di un sistema sanitario che da tempo non funziona, a causa dei risparmi di spesa, o del mancato uso della mascherina? In Svezia, dove l’uso obbligatorio delle mascherine non c’è mai stato, non c’è stato neppure questo aumento del picco di mortalità. Tutto questo significa che i morti comunque non dipendono, per dirla in modo semplice, dalla movida ma dai limiti del nostro servizio sanitario e forse anche dalle cure inadeguate che vengono somministrate ai pazienti.
Cosa è sbagliato fare?
Le mascherine inizialmente andavano usate da pazienti già contagiati per evitare lo spargimento del virus ed ovviamente dagli operatori sanitari per la loro protezione dai pazienti contagiati oppure potenzialmente infetti. Prima esisteva una carenza delle stesse, mentre ora l’Italia è diventata produttrice di mascherine e pertanto c’è la possibilità di utilizzarle con grande frequenza, anche se in realtà il loro uso generalizzato ed esteso a tutta la popolazione non ha molto senso.
In certi casi deve anzi essere evitato. Nei bambini sino ai dodici anni la mascherina induce un autismo funzionale. Il bambino diventa incapace di distinguere un volto da un altro volto, di distinguere il sesso, crescendo senza identità e senza la capacità di comprendere con chi ha a che fare. Per sconfiggere una malattia finiremo col creare una nuova generazione di malati, che soffriranno di disturbi della personalità e vivranno il più possibile isolati gli uni dagli altri, pronti a scambiarsi anche migliaia di messaggi al giorno, ma con la paura di incontrare per strada un essere umano in carne ed ossa.
Considerando che geograficamente, ad esempio questa estate, in Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Argentina, Cile, c’è stato il Coronavirus, ma non la normale influenza stagionale, si potrebbe giungere alla conclusione che vaccinarsi con il vaccino antinfluenzale 2020-21 – contrariamente a quello che si dice – è inutile. Anzi considerato quello che è avvenuto a Bergamo (estesa vaccinazione e esplosione del Coronavirus) forse sarebbe il caso di evitare interferenze tra vaccino antinfluenzale e Covid.
Conclusioni
Sulla base di quello che abbiamo sinora scritto dovrebbe essere chiaro che il lockdown è un grosso errore, anzi la ripetizione di un errore che ci costerà salatissimo in termini economici. Il colpo di grazia per piccole e medie imprese commerciali e un grosso regalo alle multinazionali dell‘e-commerce come Amazon. Altri erano e sono – secondo noi – i modelli da seguire. La Svezia, alcuni Paesi asiatici, tipo la Corea del Sud e soprattutto Israele.
La malattia – lo ripetiamo – è curabile, non è la peste bubbonica e non viviamo più nel Medioevo, anche se in pratica stiamo adottando lo stesso criterio, vale a dire “non la cura degli appestati, ma la difesa da essi”. Con la differenza che nel Trecento non c’erano le cure e oggi invece ci sono. Non ha poi alcun senso il “coprifuoco”, una normativa di guerra, che ha solo lo scopo di alimentare la paura e modificare i nostri stili di vita, ma del tutto inefficace al contrasto del virus.
Le malattie infettive si affrontano anzitutto con l’isolamento dei soggetti infetti. Soggetti che vanno identificati e curati tempestivamente, il più delle volte a casa, evitando paure immotivate e lasciando lavorare gli ospedali che si debbono occupare di tutte le malattie. Nell’affrontare la Covid19 si sono invece “isolati” milioni di persone non isolando de facto i soggetti infetti. Durante questa nuova fase, stagionale più che altro, in alcune regioni si sta già facendo come nel mese di marzo. Stiamo nuovamente sbagliando. Non ha alcun senso fermare quasi tutte le attività commerciali, con grave danno all’economia, quando abbiamo altri strumenti efficaci per contrastare la malattia. Dobbiamo evitare che all’epidemia segui la carestia. Non ha alcun senso limitare nuovamente le libertà dei cittadini chiudendoli di nuovo in casa e costringendoli ad uscire col lasciapassare. Dobbiamo evitare che a lungo andare la vera vittima del virus siano le nostre libertà.
1. Cosa fare con le categorie più fragili (anziani, malati ecc.)?
Andrebbe messa in atto la ricetta israeliana di fare circolare il virus tra i giovani e proteggere gli anziani ed i malati. Anche la Svezia ha messo in opera questa ricetta proteggendo anziani e pazienti affetti da altre patologie e il risultato è stato buono. Insomma, l’immunità di gregge è la soluzione. Da noi questo sembra impossibile. Non perché gli svedesi o gli israeliani siano dei marziani, ma perché noi per decenni – a causa soprattutto dei vincoli di bilancio posti dalla UE – abbiamo effettuato forti tagli alla sanità.
2. Cosa fare con scuole e università?
È un errore chiudere entrambe. La sicurezza nelle scuole e nell’università si ottiene con il distanziamento in classe e nelle aule, riducendo il numero degli studenti per classe, facendo eventualmente funzionare le scuole al mattino e al pomeriggio con il “doppio turno”. Peraltro quasi tutte le università ormai sono chiuse da tempo e funzionano “da remoto”. A questo punto è difficile persino pensare che anche in futuro riapriranno e funzioneranno come prima. Le conseguenze si faranno sentire nel lungo periodo.
3. Cosa fare con bus e treni e aerei?
Garantire il distanziamento adeguato sui mezzi pubblici, incrementando quindi il servizio. Questo sì, andrebbe fatto e al più presto, perché proprio i mezzi pubblici affollati diventano un luogo ideale per la diffusione del contagio.
4. Cosa fare con teatri, cinema, sale da concerti e musei?
Sono stati quei locali che hanno mantenuto meglio di tutti la distanza di sicurezza. È semplicemente sbagliato chiuderli. Dato che ormai la frittata è stata fatta, per i teatri e i concerti si faccia da subito almeno come per le partite di calcio, trasmesse in tv, anche se senza pubblico in presenza. I musei invece andrebbero aperti al più presto, controllando in maniera adeguata gli accessi.
5. E con il vaccino?
Per sviluppare un vaccino efficace e sicuro ci vogliono tempi lunghi di sperimentazione. Nel nostro caso se il virus presenta più varianti c’è il rischio che funzioni come gli esistenti vaccini antinfluenzali che non coprono tutto. Ecco perché le cure farmacologiche potrebbero risultare più efficaci del vaccino. In più i vaccini di ultima generazione, i cosiddetti “genetici”, intervengono sul DNA, si tratta dunque di una terapia genica che potrebbe presentare problemi anche di natura bioetica da non sottovalutare.
Insomma, attenzione a non correre troppo e a valutare attentamente il rapporto tra rischi e benefici, ma bisogna pur riconoscere che con un vaccino che trae origine da un acido nucleico estraneo, il quale dovrebbe indurre la produzione di anticorpi direttamente contro il virus da parte del nostro sistema immunitario, si apre una nuova era per l’applicazione degli RNA “messaggeri” verso le malattie infettive, in particolare come piattaforma di risposta rapida indirizzata per le emergenze degli scoppi epidemici.