E così se n’è andato. Joseph Ratzinger, già prefetto dell’ex Sant’Uffizio e poi papa Benedetto XVI. Razza germanica, longeva e coriacea. Quando fu eletto, i soliti titolarono «Il pastore tedesco». Eh, sempre bravi con gli slogan velenosi. Del resto, come il tolkieniano Grima Vermilinguo, non sanno fare altro.
Aveva retto quella che fu la Suprema Inquisizione Romana, ma scoprimmo che in realtà era un uomo mitissimo la cui unica pacata fermezza si manifestava quando doveva fare il Guardiano della Fede. Perché si dimise? Si è portato il segreto nella tomba. Forse in futuro si scoprirà qualche arcano quando, come sempre accade, non servirà più. Ma magari le cose sono più semplici di quel che si pensa. Magari, come La Lettera di E. A. Poe, la verità è sempre stata sotto al nostro naso e non abbiamo voluto vederla perché troppo banale. In effetti, le dimissioni di Benedetto XVI fecero clamore, perché l’unico precedente risaliva alla fine del XIII secolo, al «gran rifiuto» di Celestino V.
In quel finale di Medioevo il popolo era stufo di papi politici, ne voleva uno solo «santo». In effetti, dovendo fare l’arbitro della Cristianità, il papa medievale doveva per forza occuparsi di politica. Ma la gente semplice non ne poteva più. Così, i cardinali in stallo di conclave risolsero che forse la soluzione era quella. Perciò cavarono dall’eremo Pietro da Morrone e lo elessero per forza. Ma Celestino V aveva già ottant’anni, il triplo della vita media medievale. E non tardò a rendersi conto che era stato messo di mezzo. In pochi mesi, tirato di qua e di là, lui, il «santo» che non sapeva dire di no sconvolse talmente gli equilibri internazionali da portare il mondo sull’orlo dell’ennesima guerra. Ogni Nazione, infatti, per antichissima consuetudine aveva diritto alla sua «quota» di cardinali proprio per evitare litigi, ma col papa «santo» (n.b.: lo è davvero) il conclave si riempì di francesi. Quando si rese conto di non essere all’altezza del compito si dimise. E fu sostituito, infatti, da Bonifacio VIII, meno santo ma più energico. Il che non gli risparmiò una sberla da Sciarra Colonna e la deportazione dell’intera Santa Sede ad Avignone.
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La storia, a quanto pare, si è ripetuta con Benedetto XVI. Volle restaurare. E, diceva, «restaurare» non è altro che riportare all’antica bellezza. Infatti, non si nomò Giovanni Paolo III, bensì Benedetto, come il Padre dell’Europa. Fu, com’è noto, papa teologo. E dopo di lui venne uno che, come Bonifacio, teologo non era ma di polso sì. In ogni caso, comunque, il paragone finisce qui, perché il nuovo papa ha lasciato interdetti non pochi. È vero, Celestino V si presentò al popolo senza l’usuale pompa magna, bensì scalzo e dimesso. E Bergoglio di gesti del genere ne ha fatti fin dal suo presentarsi («Buonasera!»). Ma il paragone finisce qui. E, a tutt’oggi, i cattolici restano divisi tra ratzingeriani e bergogliani, almeno stando ai social. Boh, se sono rose fioriranno. Se son cardi, pure. Ma è sempre lui, Ratzinger ad avere la parola giusta: quando uscì la sua intervista a Vittorio Messori in Rapporto sulla fede, l’intervistatore gli chiese come mai restasse così serafico e sereno dopo avere descritto una situazione già allora disastrosa. La risposta fu: «La Chiesa non è mica mia, ma di Gesù Cristo».
Rino Cammilleri, 31 dicembre 2022