Benedetto XVI, la stoccata a Bergoglio: “Gli ha spezzato il cuore”

La rivelazione di padre Georg Gänswein, segretario particolare di Joseph Ratzinger, sulla norma che limita la messa in latino

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Per capire, bisogna partire da un racconto. Quello fatto da padre Georg Gänswein in una recente intervista: quando decise di dimettersi, Papa Benedetto XVI pronunciò la formula di rinuncia in latino. Il motivo, disse al suo segretario particolare, stava tutto nella ritualità e importanze del momento. Certe cose così importanti per la storia del papato, pensava Ratzinger, andavano pronunciate nella lingua della Chiesa.

Non è un mistero, chi la letto le biografie del papa emerito lo sa, che Benedetto XVI fosse molto legato alla “messa in latino“, o per meglio dire al rito pre-conciliare che non si limita ad una lingua antica: il parroco celebra con le spalle rivolte all’assemblea, il messale è differente, le pause e le preghiere anche. Tutto nel rito tridentino è rivolto all’eucarestia e meno alla “comunità” dei credenti, che invece con il Concilio Vaticano II assume maggiore importanza. Per questa sua passione verso quel rito, coon il motu propriu del 2007, intitolato “Summorum Pontificum”, Benedetto diede nuovamente libertà di celebrazione in latino senza che vi fosse una esplicita autorizzazione da parte dei vescovi.

Ratzinger, va detto, non ha mai ritenuto una soluzione migliore dell’altra. Solo decise, da sommo pontefice, di garantire l’utilizzo di entrambi perché – disse una volta – “era importante che la Chiesa preservasse la continuità interna con il suo passato“. Ragionamento semplice: “Che ciò che prima era sacro” non poteva diventare da un giorno all’altro “una cosa sbagliata”.

Papa Francesco, è noto, non la pensa così. E infatti il 16 luglio del 2021 ha pubblicato un nuovo motu propriu, il “Traditionis custodes”, che abolisce tutte le concessioni e le abitudini precedenti, compresa dunque la decisione di Ratzinger. L’obiettivo di Bergoglio era quello di “ristabilire in tutta la Chiesa di Rito romano una sola e identica preghiera che esprima la sua unità”, conferendo un primato al Concilio Vaticano II, cosa ovviamente legittima. Ma che lo facesse mentre Benedetto XVI era ancora in vita suonò a molti fuori luogo. E, scopriamo oggi, a quanto pare ferì anche Ratzinger.

A rivelarlo è lo stesso padre Gänswein, secondo cui quella decisione di Bergoglio “ha colpito molto duramente” il pontefice emerito: “Penso – dice in una intervista al quotidiano cattolico tedesco «Die Tagespost» – che abbia spezzato il cuore di papa Benedetto XVI”. Secondo il monsignore che dal 1992 seguiva Ratzinger, l’intenzione del pontefice morto il 31 dicembre “era stata quella di aiutare coloro che avevano semplicemente trovato una casa nella Messa antica, a trovare una pace interiore, trovare una pace liturgica e anche di allontanarli da Lefebvre”. In fondo per secoli la messa in rito tridentino “è stata fonte di vita spirituale e nutrimento per tanti santi, è impossibile immaginare che non abbia più nulla da offrire”.

L’affondo di padre Gerog è duro e diretto. Più forse di quanto ci si aspetterebbe a poche ore dal funerale di Benedetto. “Non dimentichiamo – dice – tutti quei giovani che sono nati dopo il Concilio Vaticano II e non sanno nulla dei drammi che circondarono il Concilio Vaticano II. Togliere questo tesoro alla gente, perché? Non credo di poter dire di essere a mio agio con questo”.

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