Interviste

Benedizione coppie gay, parla il teologo: “Fiducia Supplicans va revocata”

L’intervista al professor Corrado Gnerre sulla scelta del Vaticano di aprirsi alle coppie irregolari o dello stesso sesso

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Professor Gnerre, secondo lei la dichiarazione “Fiducia supplicans” sul senso pastorale delle benedizioni del Dicastero per la Dottrina della Fede, è un grave errore. Potrebbe spiegare perché?

Si tratta di un grave errore. Per un motivo molto semplice, perché non si legittimano benedizioni a singole persone, il che ovviamente sarebbe del tutto lecito, ma a coppie cosiddette irregolari, il che – al di là di sofismi – vuol dire una certa legittimazione di stati e relazioni di peccato. Si può benedire chiunque, anche un peccatore, anche un non cattolico, perché in questo caso si benedice la persona; ma non si può mai benedire il peccato.

Una coppia dello stesso sesso potrebbe partecipare tranquillamente alla Santa Messa, ma senza poter accedere ai Sacramenti. Al termine del Rito vi sono le benedizioni. Esiste una differenza tra le benedizioni al termine della Messa e quelle previste dal nuovo documento “Fiducia Supplicans”?

Una coppia dello stesso sesso può certamente partecipare alla Messa. Si tenga presente che i componenti di una “coppia irregolare” (divorziati risposati o omosessuali) sono comunque membri della Chiesa, membri morti, cioè in stato di peccato mortale, ma comunque membri della Chiesa. Dunque, non solo possono partecipare alla Messa, ma anche ricevere la benedizione finale in quanto singoli. Ovviamente non possono accostarsi all’Eucaristia. Riguardo alle benedizioni, ciò che vuole sostenere il documento è che si possa operare una differenza tra benedizioni liturgiche, in quanto sacramentali, e benedizioni devozionali. In realtà questa differenza, a detta di molti autorevoli teologi (in tal senso ha scritto una cosa interessante padre Serafino Lanzetta su Corrispondenza romana) non solo non regge, ma il documento la introduce finalizzandola ad uno scopo ben preciso, che è appunto quello di iniziare a benedire questi stati di peccato per poi poter arrivare successivamente ad altre possibilità, che – penso – si possano facilmente intuire.

Non crede però che oggi vi sia eccessiva attenzione sui peccati di natura sessuale e poco su altri peccati meritevoli di grande attenzione? Pensiamo ad esempio ai massacri in corso nelle guerre.

Già san Tommaso parla di una graduatoria dei peccati mortali. È evidente che da un punto di vista ontologico i peccati mortali più gravi sono quelli che attengono al primo comandamento e non quelli che attengono al sesto e al nono comandamento. C’è però una questione da tener presente. Si tratta di una questione antropologica. È molto difficile che si arrivi a peccare direttamente contro Dio, spesso l’avversione a Dio passa prima attraverso altri cedimenti; e i cedimenti più facili da compiersi sono proprio quelli che attengono al sesto e al nono comandamento. D’altronde la Vergine a Fatima disse chiaramente che i peccati che mandano più facilmente all’Inferno sono i peccati della carne.

Nel 2021 la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva dato una risposta negativa al quesito inerente il potere della Chiesa di benedire le coppie omosessuali. Nel 2023 la “Fiducia supplicans” ha affermato che ciò può essere fatto a determinate condizioni (tra cui che le benedizioni non siano liturgiche). Cosa succede?

Verrebbe da rispondere che si sono voluti accontentare alcuni episcopati, quelli di un mondo ricco economicamente, ma molto povero in termini di fedeli. Mi riferisco agli episcopati della Germania, del Belgio, dell’Olanda… C’è però una questione interessante, una questione paradossale. Il “Responsum” è del 2021 e fu firmato dal cardinale Ladaria, presidente dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede. Si era dunque sotto il pontificato di Francesco. Adesso “Fiducia supplicans”, per quanto venga negato dagli stessi autori, contraddice il “Responsum”. Il che vuol dire che c’è una rottura nell’ambito dello stesso pontificato.

Secondo lei c’è il rischio di uno scisma?

Il rischio c’è, anche se nessun buon cattolico se lo deve augurare. Certamente c’è una forte levata di scudi. Ed è proprio di queste ore la pubblicazione di una precisazione da parte del Dicastero per “tranquillizzare” gli episcopati che più esplicitamente hanno manifestato dissenso. Però da una prima lettura di questo, non sembra che la questione possa essere facilmente risolta.

Dal suo punto di vista, la Dichiarazione “Fiducia Supplicans” dovrebbe essere corretta o revocata?

Da quello che ho detto finora, ovviamente la mia risposta non può che essere quella della revoca. Questo nel rispetto della verità e per la salvezza delle anime. Prima di tutto di quelle che si trovano nelle condizioni a cui allude la Dichiarazione, le quali hanno bisogno di parole chiare e non di confusione. Hanno bisogno di capire la necessità di abbandonare il peccato e non di implicite legittimazioni delle loro condizioni.

Nell’ambito della sessualità, la dottrina richiede di godere del piacere sessuale esclusivamente all’interno del Sacro vincolo del Matrimonio tra uomo e donna. Perché la Verità di fede afferma tali necessità?

La sessualità è parte integrante della natura dell’essere umano, che è uno spirito incarnato. Il corpo è parte integrante della persona umana. Dunque, la sessualità è donazione della dimensione corporea nell’ambito dell’unione sponsale. Al di fuori di questa verità, la sessualità si trasforma in genitalismo, il quale -a differenza di ciò che comunemente si pensa- non è una valorizzazione della sessualità, bensì il suo snaturamento. La sessualità vissuta all’interno della dimensione coniugale è per il Cristianesimo via di santificazione. Dunque, il Cristianesimo non è sessuofobo, bensì afferma che la sessualità ha un valore enorme. Enorme proprio come espressione di dono e non di strumentalizzazione dell’altro.

Oggi siamo nel pieno fenomeno della perdita della fede o comunque di una sorta di rifiuto della fede da porte di molti. Secondo lei professore, nella nostra società quanti credono ancora alla vita dopo la morte ed al Giudizio Universale?

Purtroppo molto pochi. Ma io credo – mi posso ovviamente sbagliare – che paradossalmente la colpa non è tanto di chi non crede più, quanto di noi – come Chiesa – che abbiamo voluto non solo dimenticare queste verità, ma che abbiamo operato un cambio di paradigma: non più insistere sulla salvezza dell’anima quanto sulla salvezza delle realtà mondane. Ci siamo anche concentrati sulla salvezza del corpo, dimenticando che se si salva prima di tutto l’anima, si salva anche il corpo.