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Benetton e autostrade, cosa fare

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Dal punto di vista strettamente economico, cinico, ci sono pochi dubbi. Se un cliente paga un prezzo per un servizio che non ottiene, anzi gli procura un danno, il fornitore del servizio è inadempiente. Insomma ci sono pochi dubbi sul fatto che la società Autostrade per l’Italia, controllata dalla famiglia Benetton, sia colpevole.

Fermiamoci qua. Non entriamo in questioni altrettanto importanti, ma non strettamente economiche. E continuiamo il filo del nostro ragionamento. Il governo ha detto che vuole riprendersi il servizio che aveva ceduto ai privati, cancellando la concessione che aveva loro dato nel 2002.

Autostrade non fornisce un servizio qualsiasi: ma si avvale di strade costruite alcuni decenni fa con i quattrini dei contribuenti e che non sono replicabili (non è immaginabile affiancare una nuova autostrada in concorrenza a quella esistente): è un monopolio naturale. La posizione è dunque invidiabile. Non ci può essere un concorrente. I Benetton facevano maglioni ed erano i numeri uno al mondo. Poi è arrivata Zara, H&M e loro sono praticamente scomparsi. Ciò non può avvenire sulle autostrade.

Il dilemma dunque per un economista è banale. A chi facciamo gestire questa montagna di asfalto? All’inizio del 2000, governi di sinistra (paradosso dei paradossi) decisero di affidare la gestione ai privati. All’asta non si presentò nessuno. Un gruppo australiano mollò all’ultimo istante. E la gara la vinsero i Benetton. Tutti temevono che lo Stato controllore avrebbe potuto usare il suo arbitrio per imporre tariffe massime e investimenti minimi. Oggi al contrario si rimprovera allo Stato di avere chiuso un occhio su tariffe e manutenzione. Per gli economisti questo potrebbe essere il caso di un controllato che ha catturato il controllore.

Privatizzare un monopolio naturale è, al contrario, una buona idea solo se lo Stato si mette a controllare il privato che ha vinto la gara. Altrimenti si privatizza solo la rendita di posizione derivante da un monopolio. Il che non è detto che sia economicamente sbagliato, ma è decisamente iniquo.
Ante privatizzazione, lo Stato aveva la proprietà delle strade e anche il controllo della loro gestione. Post privatizzazione, lo Stato ha perso la gestione, ma avrebbe dovuto mantenere il controllo. Vi sono pochi dubbi che da un punto di vista strettamente tecnico sia meglio la seconda strada.

Vediamo infatti a cosa andremmo incontro se il governo Conte dovesse riprendersi la concessione: tralasciando i pur fondamentali aspetti giuridici. Ebbene la prima evidente situazione che si verificherebbe è che in seno allo Stato (attraverso le sue diverse articolazioni) si riunirebbero controllo e proprietà delle autostrade. Vi sembra una buona soluzione?

Lo stesso ministero che non ha controllato i privati (esiste addirittura una direzione che dovrebbe vigilare sulle concessioni autostradali) con quale forza riuscirebbe a controllare se stesso? Perché oggi dovrebbe avere l’indipendenza e la forza di fare nei confronti del proprio vicino di banco, ciò che ieri non ha fatto per lo sconosciuto? Un po’ come lo stato che con una mano vuole fare la Salerno Reggio Calabria e con l’altra non la fa? Risultato: esponenti politici che la inaugurano ogni tot anni. E in caso di incidente come si comporterebbe? Le nostre infrastrutture viarie sono entrate nell’età critica. E il discorso non vale solo per l’Italia, ma per tutto l’Occidente ricostruito dopo la guerra. Insomma il rischio che ci siano altri crolli è elevato. Ebbene qualcuno davvero ritiene che la distribuzione delle responsabilità tra pubblici ufficiali, controllate statali e funzionari pubblici sarebbe più lineare di quella a cui stiamo assistendo oggi? In pochi mettono in discussione la coresponsabilità nei controlli da parte del ministero oggi, immaginate lo scaricabarile domani?

Sulla questione finanziaria, la confusione sarebbe anche maggiore. Lo Stato ha due leve: quella fiscale e quella del prezzo (pedaggio) che potrebbe far pagare alle sue autostrade ri-nazionalizzate. Ciò che toglie da una parte (pedaggi pagati direttamente) potrebbe aggiungere, in modo non trasparente, dall’altra. Come peraltro ha fatto per decenni. Con il favoloso paradosso di spostare sulla fiscalità generale, il prezzo di un servizio localizzato. Sulle manutenzioni e investimenti, qualcuno davvero pensa che il sistema pubblico sia più pulito, veloce, economico rispetto a quello privato? E chissà che montagna di investimenti dovremmo fare. E da dove si parte? Roma centralizzerebbe tutto, ma non volete una bella conferenza stato regioni per stabilire le priorità e il tutto da sottoporre a quell’allucinante codice degli appalti votato dal governo Renzi? La quasi certezza è che ciò che i privati non fanno per interesse, il pubblico non fa per burocrazia.

Siamo in una situazione drammatica. Abbiamo un privato che ha sbagliato. Di brutto. E una reazione politica che rischia di peggiorare le cose. Il medesimo governo vuole infatti nazionalizzare Alitalia, unendola alle Ferrovie dello Stato. Vuole fare una banca pubblica, in concorrenza alle private. Già dispone di una buona parte delle nostre strade. Ha una bella fetta di aziende controllate, dall’Eni alle Poste. Ha intenzione di riprendersi l’acciaio. E solo loro hanno idea di come voler utilizzare il nostro risparmio postale, attraverso la pubblica Cassa depositi e prestiti.

L’11 settembre ha riunito gli americani, ma anche comportato il Patriot act e le violazioni delle libertà dei padri fondatori; da noi il 14 agosto del 2018 rischia di riportarci indietro all’idea dello Stato padrone, che pensavamo aver sconfitto per sempre.

Nicola Porro, Il Giornale 19 agosto 2018