Politica

Benigni comunista? Allora teniamoci la Di Cesare

Tra i due la più coerente e onesta è la filosofa che almeno non si nasconde come l’attore

benigni comunismo di cesare © narvikk tramite Canva.com

È una di quelle coincidenze esoteriche, deliziose, forse feroci, che nel giorno della memoria comunista di Roberto Benigni, una fiaba tutta case del popolo e palestre di democrazia, arrivi il pianto e rimpianto della filosofa del Fatto Quotidiano, la Donatella di Cesare, per la compagna Luna, brigatista in carriera. Due facce della stessa vicenda e tragica vicenda. Ma tra i due, ci scusassero i benpensanti di ritorno, la più coerente e in fondo onesta è la filosofa. Lei almeno non si nasconde, non mistifica una realtà.

Quando all’amica scomparsa dice che le dee non si perdono, che l’ideale rivoluzionario era il loro pane comune, non fa che portare alle estreme ma inevitabili conseguenze il mein kampf brigatista, la koinè brigatista. Le Brigate Rosse si rifacevano espressamente, totalmente all’escatologica marxista leninista e nessuno ha mai potuto sostenere che sbagliassero, che avessero frainteso: la mistica rivoluzionaria, la palingenesi nel sangue era il destino ultimo e loro erano determinate nell’inseguirlo.

Dall’altra parte le fantasie melassose e bugiarde di Benigni, uno che sul comunismo onirico ha costruito la sua mistica personale e la lucrosissima carriera. Fin da quella rottura di palle, caricarsi in braccio il povero Berlinguer, famiglia di nobili e latifondisti sardi, che sarà anche stato “puro come un bambino” ma sprovveduto proprio, se no non fai carriera nel PCI e non duri nel Politburo comunista quale erede del Migliore, il Togliatti numero 3 di Stalin.

Il comunismo di Benigni semplicemente non è mai esistito. Fu religione feroce, nel dopoguerra della difficile ricostruzione democratica, e fu a un passo dal trasformarsi in rivoluzione, fermata proprio dal realista Togliatti secondo il patto non scritto con De Gasperi: tu Democrazia Cristiana non mi metti fuori legge e io Partito Comunista non ti faccio la rivoluzione sovietista. Fu precisamente la “occasione mancata” o tradita dalla quale intesero ripartite i brigatisti, a conferma che il comunismo benignesco era una favola, ma ignobile. Benigni ha poi trasformato quel gesto già allora calcolato in uno stereotipo stucchevole e vagamente servile, dove c’era un notabile comunista o postcomunista o neocomunista piombava lui a prenderlo o farsene prendere in braccio.

Di pari passo usciva la sua vera cifra di cattocomunista bigotto, di compagno capitalista, di trasgressivo sempre più annacquato. Un po’ come il compagno Vasco Rossi che fa una canzone alla Gino Cecchettin contro il patriarcato, eeeh, zaaà, forse per far dimenticare 45 anni dopo l’altra dell’Alfredo che gli aveva fatto mancare la “troia andata a casa con il negro”, altro momento, d’accordo ma all’occorrenza si può sempre tirare fuori, eeeh, oooh, zaaaà, sono sempre quello laaaà! O l’altro, l’ex stalinista duro e puro Ferretti, il punk dei CCCP poi diventato lefevriano ma disposto a riesumare i vecchi compagni di lotta per una reunion senza niente da invidiare si Pooh quanto a scopi commerciali, consumistici. Ma del Lindo Ferretti si dice sempre, come di Chiara Ferragni: lo avete frainteso, lui ci mette ironia. Come nella gag di Lino Banfi barista.

Anche Benigni di tanto in tanto si deve ricordare di essere o essere stato comunista, per via dei fatturati, capite? Però sempre nel modo onirico e paraculo che piace agli Augias. Coincidenze esoteriche, sincronicità storicistiche dei compagni. Tra la compagna Luna e il compagno lunatico, il meno sincero, forse perfino il più cinico, è il cantore di Mattarella, un altro da prendere in braccio. Eeeh, oooh, giaaà, così sono questi qua.

Max Del Papa, 6 marzo 2024

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