Benvenuti ai Giochi Paralimpici dei trans

Valentina Petrillo è la prima atleta transgender a partecipare alle paralimpiadi. A Parigi correrà i 200 e i 400 metri

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Petrillo parigi 2024

L’enfasi sulle Paralimpiadi in partenza a Parigi suscita, se proprio vogliamo dirla come va detta, un senso di fastidio quasi superiore alle Olimpiadi non “para”, quelle normali, per dire banali. Sarà che siamo rimasti scottati dai giochi meno sportivi e più para-culi della storia, sarà che ci percepisci il solito retrogusto paternalistico di chi vuole stupidamente normalizzare tutto per forza, l’enfasi del superomismo menomato, del diversamente normale. Non che chi gareggia con una difficoltà supplementare debba essere snobbato, se mai il contrario, ma è questa esaltazione all’insegna del siamo tutti uguali, tutti menomati e dunque nessuno menomato, siamo tutti inclusi, in cosa non si sa, a disturbare.

Sì, forse a rendere il tutto così irritante è l’opera militante, propagandistica al limite dell’isterico, di convogliamento dell’handicap, persino dell’handicap, nel fiume ideologico, è quel farne l’ennesimo pretesto politico. Sì, soffia uno sgradevole fumo di politicamente corretto che si presta a qualsiasi distorsione, a dire la Narrazione che non si ferma mai, che usa le sue armi retoriche, patetiche per spingere su un racconto forzosamente, omerico. Dite che ci sto andando troppo pesante? Allora mi si spieghi come mai tutta l’attenzione è sparata su questa Valentina Petrillo, nata Filippo, maritata con donna e figlio, ma che non consente obiezioni di sorta, pretende lo stupro della realtà ed è pronta, sostiene, a querelare chi non la considera donna a tutti gli effetti, fosse uno che passa, un genetista o un prete.

Se io non mi lobotomizzo debbo risponderne a un giudice? Già, a questo siamo arrivati e per questo tornano utili anche le paralimpiadi inclusive. Dice questa Petrillo che vorrebbe sparire, ma non si risparmia nel concedere interviste, dice che vuol contare solo come atleta ma si pone come guru della nuova inclusione e noi abbiamo già capito il gioco, che è sempre il solito: mescolare protagonismo e vittimismo, quella sorta di passività aggressiva, da influencer, all’insegna del “fatevi i fatti vostri che io mi faccio i miei”. Ma non si fanno i fatti loro o meglio se li fanno ma non consentono altrettanto.

Perché, come direbbe Nicola Porro, il punto è un altro: non è in questione la tolleranza, che è cosa meravigliosa, ma la salvaguardia della realtà. Io non posso rispondere penalmente del fatto di mentire a me stesso: il trans Valentina è liberissimo, come lo è Luxuria, come lo sono tutti, di mentire a se stesso, ma se arrivano a querelare chi non li vede per quelli che non sono, questa non è più libertà. È l’esatto contrario. È dittatura del pensiero e della percezione e della realtà. È censura del senso e del buon senso. Ed è una colossale opera mistificatoria dagli effetti sconfinati e potenzialmente catastrofici. Ha scritto qualcuno, con logica chirurgica: “Non basta alle velociste gareggiare con un handicap, debbono pure vedersela con una che è un uomo”. Sarà denunciato l’anonimo commentatore che ha osato affermare la più desolante delle realtà, che il re, trans o no, è ancora nudo, ed è visibile per quello che è?

Si torna alla farsa delle “pugile” donne per amor di conformismo, ma per le quali è stato necessario rinunciare ai regolamenti medici, scientifici in virtù di una allucinante autocertificazione. Anche Valentina, ex Filippo, “ma a mio figlio permetto ancora di chiamarmi papà”, bontà sua, dice: ho intrapreso il percorso di cambiamento di genere 4 anni fa, al che uno si immagina chi sa quali tormenti biologici, fisici, farmaceutici: no, è solo una faccenda burocratica, correggersi il sesso a pennarello sulla carta di identità. “Velocista ipovendente transgender di 51 anni”: non è un po’ in là con l’anagrafe per correre? No, se non te li senti, ma oggi si dice percepisci, e comunque se corri in una categoria sessuale non tua. Perché, mettila come ti pare, ma qui si parla neanche di soggetti con scompensi ormonali, oscillazioni testosteroniche ma, semplicemente, di chi si pretende, si decide altro da come è, senza che nulla, ma davvero nulla sia cambiato mai. E noi dovremmo accettare tutto questo?

C’è chi insinua che questa sarebbe l’ennesima strada per la notorietà, magari per la politica – in fondo è sempre meglio percepirsi a piacere, che andare a occupare case o spaccare teste come meloni: amen, fosse solo questo, ma, ancora una volta, il punto è un altro: se chi è maschio mi obbliga a considerarlo femmina, con tanto di minaccia giudiziaria, a non essere “lasciato in pace” sono io; allora, come volevasi dimostrare, non è più questione di olimpiadi sportive ma di olimpiadi della censura: o della dittatura del non pensiero. Del pensiero rovesciato. Macron, con la sua faccia da camembert, inaugura, in pompa magna, chissà se arriva pure l’omologo Trudeau, tutti sti potenti, oh, così fluidificanti, poi arriva Valentina con l’alettone aerodinamico, poi tutto il resto, in una colata di retorica fasulla per cui si finge di appassionarsi alle gare pur di insufflare l’ennesima distorsione allucinata. E siccome la Narrazione è paracula ontologicamente, sei tenuto a non vedere l’handicap di chi si sfida alle paralimpiadi all’insegna del tutti super, tutti eroi omerici, però appena critichi Vale ti dicono di vergognarti perché “lei è ipovedente”, insomma vive una condizione invalidante, penalizzante.

Quanti modi di alterare il gioco democratico, madamadorè, che tu ti chiami Marc Zuckerberg o Valentina (Filippo) Petrillo. Perché qui è proprio distorcere la verità e dunque la democrazia. “La verità vi renderà liberi”, ma oggi è l’opposto, la verità ti manda in galera. Sempre meglio che sulla croce, ma non è che in duemila anni siano poi stati fatti tutti ‘sti gran passi in avanti.

Max Del Papa, 28 agosto 2024

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