Otto anni fa, 2016, quando Donald Trump vinse le elezioni americane, l’allora candidata democratica Hillary Clinton basò gran parte della propria campagna presidenziale, attaccando e demonizzando the Donald. La sua principale chiave comunicativa era convincere gli americani di quanto il tycoon fosse brutto e cattivo.
Non ha funzionato.
1. Perché l’elettorato non ha bisogno di essere convinto a cambiare idea (anzi, gli dà pure fastidio essere ritenuto una sorta di minus habens), e men che mai vuole essere convinto da un candidato che non contempla di votare. Altrimenti già lo voterebbe e dunque non avrebbe bisogno di essere convinto di alcunché. Trattasi dunque di un dispendio di energie inutile, di una strategia che non sposta voti. Si è vero, c’è sempre la grande incognita degli indecisi, e dei cosiddetti swing states. Ma notoriamente qui pesano i grandi temi, e quindi quanto sono convincenti le risposte che i candidati alla presidenza sono in grado di dare, non certo le stilettate reciproche.
2. Attaccare l’avversario è un’implicita ammissione di debolezza e da che mondo e mondo la debolezza non conquista, non è un elemento acchiappa voti. Nella campagna del 2016, uno dei principali claim della Clinton, sicuramente sfornato da qualche genio del marketing politico era: “Love Trumps Hate!”, “L’amore vince sull’odio”. Uno slogan giocato sulla parola “trump” che di fatto aveva l’effetto di fare pubblicità gratuita per l’avversario.
Una genialata insomma. E quindi, mentre la Clinton passava la maggior parte del tempo a demonizzare l’avversario, sul palco, fuori dal palco, tra la folla che sventolava claim del tipo sopra citato, Trump invece vendeva sogni e speranze, e soprattutto dedicava pochissimo spazio alla candidata democratica. Lo spazio di qualche sbeffeggio o sfottò in risposta agli attacchi della stessa, e quindi giusto per sottolineare la tanta attenzione ricevuta e rafforzare il personaggio.
Oggi, il comitato elettorale di Biden sforna uno spot nel quale definisce Trump un dittatore, e per rimarcare il concetto viene impiegata persino la voce di un personaggio amato dal grande pubblico come Robert De Niro. Una trovata che mi sembra la conferma che poco è stato capito degli errori di allora tant’è che ha già iniziato a far parlare, soprattutto di Trump.
Francesca Ronchin, 26 maggio 2024
Autrice del libro IpocriSea, le verità nascoste dietro i luoghi comuni su immigrazione e Ong (Aliberti, 2022). Lavora per la RAI. Suoi scritti sono apparsi su Corriere della Sera, La Verità, Panorama, Analisi Difesa e altri.
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