Tutti gli errori di Biden con Cuba e Venezuela
“Biden flirta con i tiranni tropicali”. Questo il titolo del pezzo di Mary Anastasia O’Grady oggi sul Wall Street Journal. Una disanima impeccabile di tutti gli errori in politica estera dell’amministrazione statunitense.
A prima vista Putin e l’uragano Ian hanno poco in comune. Ma la sinistra americana li sta usando entrambi come pretesto per spingere gli Stati Uniti a tornare alla politica dell’era Obama verso i governi di Venezuela e Cuba e l’amministrazione Biden potrebbe assecondare questa politica estera insensata. Il WSJ ha riferito la scorsa settimana che “l’amministrazione si sta preparando a ridurre le sanzioni” sul Venezuela e “a riprendere il pompaggio del petrolio in quel Paese, aprendo la strada a una riapertura dei mercati statunitensi ed europei alle esportazioni di petrolio dal Venezuela”. Questo arriva sulla scia dei tagli alla produzione annunciati dall’OPEC. Per i non addetti ai lavori, l’allentamento delle restrizioni sul petrolio venezuelano può sembrare un tentativo credibile di abbassare i prezzi dell’energia negli Stati Uniti. Per il resto di noi, o è stupido o è malvagio, anche se non c’è motivo per cui non possa essere entrambe le cose.
Biden ha un problema politico. L’inverno è alle porte e le scorte di gasolio sono basse, soprattutto nel Nord-Est. Gli americani sono consapevoli del ruolo che ha la sua agenda Green nelle loro difficoltà. Non fare nulla non è un’opzione. Se l’obiettivo è quello di apparire come un uomo d’azione, il Venezuela, dove Chevron è ansiosa di riavviare la produzione di petrolio, può sembrare un frutto a portata di mano. Ma le infrastrutture del Paese sono talmente fatiscenti e il suo capitale umano così cancellato che, senza nuovi investimenti significativi, il Paese non potrà pompare molto più dei 600.000 barili al giorno che dichiara di produrre. Con le nuove licenze statunitensi la produzione venezuelana potrebbe aumentare di circa 220.000 barili al giorno nei prossimi due anni.
Tale aumento rappresenta solo lo 0,2% circa della domanda mondiale ed è difficile capire come potrebbe aiutare i consumatori USA. Anche gli economisti di Biden devono essere in grado di capire che si tratta di una goccia nel mare, ed è per questo che la questione appartiene più al dipartimento politico – archiviata sotto la voce “mai lasciare una crisi da sprecare” in vista delle elezioni di novembre.
Se la squadra di politica estera di Biden fiuta un’opportunità per promuovere l'”impegno” con il despota Maduro, non è azzardato pensare che la coglierà, usando la nebbia della guerra in Ucraina come copertura. Ma sul campo il colpo alla libertà sarà sostanziale se gli Stati Uniti rinunceranno a fare pressione sul Venezuela per ristabilire la democrazia. Rinnovare le licenze in modo che il Venezuela possa esportare più petrolio negli Stati Uniti e in Europa sarebbe un enorme favore alla dittatura di Maduro, che ha bisogno di valuta forte per far funzionare la sua macchina repressiva e cerca legittimità sulla scena mondiale.
Questo è il tipo di malcostume in politica estera prodotto da consiglieri di sicurezza nazionale che considerano gli sforzi per promuovere i valori statunitensi nelle dittature come imperialismo. La politica di Biden su Cuba non è migliore. A maggio, l’amministrazione ha dimostrato la sua tolleranza per la brutalità dell’Avana nei confronti del suo stesso popolo, allentando le restrizioni sui viaggi e sulle rimesse, nonostante la repressione contro l’opposizione. Migliaia di prigionieri politici languono nelle prigioni cubane ma Biden guarda dall’altra parte. Ora arriva l’uragano Ian, che gli apologeti della rivoluzione cubana vedono come una gloriosa opportunità per colpire l’embargo statunitense e cercare, ancora una volta, di spillare soldi ai gringos. Il 2 ottobre, un’organizzazione comunitaria chiamata Forum del Popolo ha pubblicato un annuncio a tutta pagina sul New York Times in cui incolpava le sanzioni statunitensi per le sofferenze del popolo cubano e chiedeva aiuti statunitensi all’Avana per “aiutare i nostri vicini”. La Reuters ha riportato il 7 ottobre che “il governo cubano e i media statali hanno ripetutamente rilanciato” l’annuncio. Non ci sono restrizioni all’acquisto di cibo o medicine dagli Stati Uniti da parte della dittatura cubana e per quanto riguarda i materiali da costruzione necessari alla ricostruzione, essi possono essere facilmente acquistati in Messico, Canada ed Europa, per citare solo alcuni mercati.
Il regime deve saperlo, visto che almeno dal 2016 è in corso un boom di costruzioni di hotel di lusso. Molti americani vogliono aiutare i loro fratelli cubani. Ma L’Avana non permette alle organizzazioni umanitarie private o al governo degli Stati Uniti di inviare donazioni direttamente ai cubani. Le spedizioni devono passare attraverso il regime corrotto. Venezuelani e cubani si trovano ad affrontare una situazione di estrema povertà. Ma sostenere le dittature militari che governano questi Paesi non è un modo per promuovere i loro interessi, né i nostri. Fare affari con i dittatori di Cuba e Venezuela è un grave errore di politica estera.
Biden vuole revocare le sanzioni a Maduro per abbassare i prezzi del petrolio
Dopo aver fallito nel tentativo di convincere l’Arabia Saudita ad aumentare la produzione di greggio per abbassarne il prezzo, Biden ha intensificato i negoziati con il regime chavista. Il suo obiettivo è che Chevron possa tornare a Caracas. Una delle condizioni poste da Maduro per qualsiasi concessione agli Stati Uniti è che questi ultimi rilascino Alex Saab, l’uomo d’affari colombiano suo prestanome sotto processo in Florida per vari reati di frode e riciclaggio di denaro. Biden, tuttavia, non può farlo a piacimento perché al Senato esiste un gruppo bipartisan che si oppone. Non si tratta solo di senatori conservatori della Florida, come Marco Rubio e Rick Scott, ma anche di democratici come Bob Menendez, che presiede la commissione Esteri e il Senato è la camera che supervisiona e controlla la politica estera degli Stati Uniti.
Pochissima gente ad ascoltare il comizio di Lula a Belo Horizonte
Nonostante la scarsa adesione, PT ha anche pubblicato sulle reti le immagini della manifestazione usando angolazioni e riprese molto strette diverse, dando l’impressione che ci fosse una folla oceanica. Invece non c’era quasi nessuno, nonostante la presenza sul palco del cantautore Chico Buarque, da sempre lulista.
Cuba: il regime adesso si inventa i “blackout solidali”.
L’Empresa Eléctrica dell’Avana, di proprietà statale, ha annunciato non meglio specificati ” blackout di solidarietà”, una misura antipopolare già adottata durante l’estate dal regime per giustificare i tagli della luce di 12 ore nella capitale e le province. Da oggi a domenica dunque senza luce per “solidarietà” dalle 10:00 alle 14:00 e dalle 18:00 a mezzanotte. Si prevedono molte proteste e molta repressione.
La Bolivia condanna le marce delle donne in Iran e sostiene il regime di Teheran.
“Il nostro governo condanna i recenti disordini in Iran, perpetrati dai sionisti britannici e americani, e siamo sicuri che tutti i problemi saranno risolti con la solidarietà, la conoscenza e la comprensione del caro leader dell’Iran”, ha affermato l’ ambasciatore boliviano a Teheran, la signora Romina Perez. Né l’ambasciatrice né il presidente boliviano Arce hanno dedicato parte dei loro discorsi sempre elogiativi nei confronti della dittatura alla brutalità della repressione iraniana che, secondo l’ONG Iran Human Rights, ha già provocato 185 morti, di cui 19 bambini. I rapporti tra il Movimento per il socialismo (MAS) di Arce ed Evo Morales e il regime iraniano sono molto stretti da quando Morales prese il potere nel 2006, compresa l’apertura di un canale televisivo iraniano, che da allora trasmette propaganda musulmana in Bolivia in spagnolo. Da allora, inoltre, il MAS ha istituito una “Scuola Antimperialista” per le Forze Armate dove gli istruttori sono agenti provenienti dall’Iran oltre che da Cuba, Venezuela e Russia.
Bolsonaro: “se vinco manterrò all’Economia il ministro Guedes e tutti gli altri ministri”.
Il presidente ha detto ieri in un’intervista dal vivo con il YouTuber Paulo Figueiredo Filho che la politica economica del Brasile in caso di sua vittoria sarà mantenuta. Il tema è centrale visto che Lula, invece, non ha presentato sinora nessun piano economico.