Esteri

Biden-Trump, chi può salvare l’Occidente

Il futuro presidente Usa dovrà evitare che il blocco occidentale arretri sempre più sullo scacchiere geopolitico

trump biden

Joe Biden o Donald Trump? O magari, perché no, Kamala Harris. La corsa per le presidenziali statunitensi entra ormai nel vivo, e con l’approssimarsi della scadenza elettorale l’opinione pubblica occidentale tende sempre più a dividersi. Da una parte i trumpiani di ferro, pronti a tutto pur di prendersi la tanto attesa rivincita su Biden dopo la concitata sconfitta di quattro anni or sono. Dalla parte opposta i democratici, desiderosi di bissare il successo ottenuto alle ultime presidenziali ed eliminare una volta per tutte dalla scena politica l’ingombrante The Donald.

E poco importa che ciò avvenga attraverso la ricandidatura del presidente in carica o con quella della sua ambiziosa vice, vogliosa, per sua stessa ammissione, di fare un bello sgambetto a Biden e ottenere così l’agognata nomination. Giorno dopo giorno la febbre da elezioni presidenziali sale, e con essa, cresce anche il livello dello scontro tra repubblicani e democratici di tutto il mondo, che, c’è da scommettere, continuerà ad infuocarsi ancor di più nei mesi a venire. Chi la spunterà? Ancora presto per poterlo dire. Ad ogni modo, tifi da stadio a parte, c’è una questione cruciale, strettamente legata al verdetto delle prossime elezioni americane, su cui vale la pena riflettere.

L’approccio del mondo occidentale dinanzi alla scelta del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America è ancora oggi fortemente legata a una realtà unipolare, ovvero fossilizzata su un modello, da anni ormai completamente superato, in cui gli Usa, essendo la superpotenza incontrastata negli equilibri geopolitici internazionali, possono anche permettersi il lusso di logorarsi dall’interno con lotte intestine all’ultimo sangue finalizzate soltanto ad avere la meglio sull’avversario di turno. E invece no, molte cose sono cambiate nell’ultimo decennio. Il blocco occidentale, Usa in testa, arretra sempre più sullo scacchiere geopolitico internazionale per fare spazio alla forza d’urto del dragone cinese e dei suoi alleati. Gli Stati Uniti, è bene che lo si comprenda, da tempo non sono più la sola superpotenza sulla scena, come nel mondo post guerra fredda.

Anzi, da qualche anno ormai si assiste a un progressivo (e apparentemente inarrestabile) spostamento degli assetti geopolitici globali verso oriente. Non solo, perché il mondo occidentale si trova inoltre a dover fare i conti anche con una serie di situazioni che vedono due preoccupanti fronti bellici aperti (Ucraina e Medio Oriente), con il blocco Nato impegnato a fronteggiare lo spettro dall’invasione russa dell’Europa dell’est, e al contempo la minaccia rappresentata dell’avanzata dell’Islam più radicale. Senza contare le mire espansionistiche della Cina su Taiwan.

Orbene, in una fase storica cotanto delicata per le sorti del globo, che vede la civiltà occidentale perennemente sotto attacco, stretta dalla durissima morsa russo-sino-islamico, non è proprio il caso di abbandonarsi a sfiancanti lotte intestine e partigianismi vari. Gioverebbero soltanto agli agguerritissimi nemici dell’Occidente. Al contrario, ciò che veramente servirebbe agli Usa sarebbe una presidenza forte e autorevole, per provare a recuperare il terreno perduto in favore delle altre superpotenze negli ultimi anni, e tentare di salvare sé stessi e l’Occidente intero da un destino che appare già segnato.

Salvatore Di Bartolo, 14 febbraio 2024