Bimbe rom picchiate dai genitori? Per i giudici era normale

La Corte d’Appello di Torino ha assolto la coppia dall’accusa di maltrattamenti: “In quel contesto è normale”

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giustizia bambina malatrattata

Dopo il caso clamoroso di un cittadino bengalese, che picchiava e maltrattava la moglie, assolto in base al fatto di provenire da una cultura diversa dalla nostra, sotto i riflettori di una imbarazzante giustizia double face finisce la vicenda di tre bambine rom – all’epoca tutte minori di 10 anni – “educate” a calci, schiaffi e pestate con vari oggetti dai suoi genitori.

Quest’ultimi, in particolare, dopo aver subìto per tale motivo dal Tribunale di Torino una condanna in primo grado a due anni e sei mesi di reclusione, sono stati assolti in Appello con una motivazione assai simile a quella summenzionata. In estrema sintesi, la Corte, pur riconoscendo in pieno i gravi comportamenti dei due soggetti, ha stabilito che nel contesto violento di un campo rom i loro “metodi” rappresentavano “l’unico strumento disponibile per garantire ordine e disciplina in seno alla famiglia e/o nei rapporti tra le bambine”.

Altrettanto singolare il parere di un neuropsichiatra infantile ascoltato dai giudici, il quale ha sostenuto che “il clima di violenza mi sembrava accettato come un dato di fatto, ma sono bambini che vivevano in un campo rom, dove la violenza è un connotato.” “Quanto alle percosse inflitte – ha scritto il presidente della Corte d’Appello, Carlo Gnocchi -, le peculiari condizioni del contesto familiare fanno insorgere notevoli dubbi sulla coscienza e la volontà di sottoporre le figlie a qualsivoglia forma di maltrattamento rilevante agli effetti dell’articolo 572 del codice penale.” Il che, tradotto nella lingua dei comuni mortali, significa che, vivendo una condizione che i più considererebbero subumana, per questa gente tutto questo rientra nella piena normalità.

Tant’è che, sempre secondo quanto riportato dalla sentenza, “un simile assunto si rivela in qualche modo corroborato dalle attenzioni e dalle manifestazioni di affetto di cui si dimostrano capaci nei confronti delle figlie gli imputati, i quali, pertanto, sapevano assumere (e assumevano) anche quel ruolo di amorevoli genitori che, in quanto tale, non appare compatibile con la consapevolezza e l’intenzione di sottoporre le proprie figlie ad un regime di vessazione e di sofferenza morale.”

Insomma, dal momento che la loro cultura è differente, anche i più zelanti sostenitori di quel banale principio secondo cui la legge dovrebbe (in questo caso il condizionale è d’obbligo) essere uguale per tutti debbono inchinarsi di fronte a cotanta giustizia. Una giustizia che, vorrei sommessamente segnalare, spesso e volentieri strappa letteralmente i figli a tanti genitori sulla base di tutta una serie di criteri formali, come igiene, ordine e pulizia, i quali nel contesto summenzionato non esistono in alcun modo.

A questo punto possiamo anche aspettarci la totale depenalizzazione dei furti e degli scippi che qualche “rara” volta caratterizzano le citate comunità itineranti. Anche in questi “sporadici” casi, trattandosi di una distinzione culturale, è assai probabile che manchi assolutamente la coscienza di adottare una condotta criminale. La tolleranza prima di tutto.

Claudio Romiti, 13 luglio 2024

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