Il recente polverone sollevato dal caso Scurati mostra con drammatica efficacia il grado di soffocamento di questo paese. Soffocamento da retorica, da luoghi comuni, da parole riciclate. Una povertà culturale nella quale è pressoché inutile inserirsi. Tuttavia ci proviamo. Se non altro per il gusto di dare un po’ fastidio.
Il 25 aprile celebra il trionfo della resistenza partigiana italiana, la liberazione definitiva dall’occupante tedesco e la sconfitta del regime fascista. Giustissimo. Lungi da noi voler sminuire l’importante ruolo svolto dai partigiani nelle ultime fasi (sottolineiamo ultime) della guerra in supporto alle operazioni degli eserciti Alleati per la capitolazione delle forze tedesche. Già, nelle ultime fasi. Occorre evidenziare bene questo passaggio altrimenti si rischia, come sempre accade, di scivolare nella palude della retorica, accettando il falso storico mai sufficientemente denunciato della “grande sollevazione popolare” contro l’occupante.
L’8 settembre 1943 è ricordato come il giorno in cui morì in Italia il concetto di “patria”.
La guerra era ormai perduta, Mussolini destituito, il Re e il Maresciallo Badoglio subito dopo aver siglato con gli alleati l’armistizio di Cassibile fuggirono in tutta fretta prima verso Pescara e poi alla volta di Brindisi. Quello che rimaneva dell’esercito italiano si dissolse in una grande e invereconda diserzione generale. Il tutto non prima che venisse dichiarata formalmente guerra alla Germania nazista, con cui fino a pochi mesi precedenti l’Italia era alleata e a cui lo stesso Badoglio, il 7 settembre, diede la sua parola d’onore che mai e poi mai tale alleanza si sarebbe rotta. Una ignominia di cui solo il carattere degli italiani sarebbe stata capace e che gettò su questa povera nazione un’onta mai del tutto lavata. Per fortuna però che nessuno studia più queste cose…
In questo contesto di assoluto caos è storicamente erroneo pensare che gli italiani abbiano improvvisamente compreso la mostruosità del fascismo e si siano sollevati in massa per prendere parte alla lotta partigiana. Renzo De Felice, uno dei maggiori storici del Novecento, ci spiega in un aureo libretto dal titolo Il Rosso e il Nero che nei fatti il numero effettivo dei partigiani in Italia ammontava all’incirca a quattro milioni. Decisamente pochi rispetto ad una popolazione di 44 milioni di abitanti. Il movimento partigiano divenne moltitudine solo a pochi giorni dalla definitiva capitolazione tedesca. In pratica, a guerra finita.
Anzi, all’indomani dell’8 settembre il sentimento maggiormente diffuso tra gli italiani constava in una radicale indifferenza verso i partigiani, visti con sospetto e con la naturale ritrosia di un popolo che pensa prima di tutto alla propria privata sopravvivenza. Schierarsi con l’una o l’altra fazione era pericoloso. De Felice riporta come molte numerose famiglie contadine, per non correre rischi, mandassero un figlio a combattere con i partigiani e un altro con i fascisti. Anche qui però la retorica trionfa, coprendo tutte le verità alternative con la sua cappa soffocante.
Altra mistificazione storica della vulgata “resistenzialista” è quella che vorrebbe i partigiani gli unici veri liberatori della patria e gli Alleati come dei validi comprimari. Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Senza dubbio le brigate partigiane parteciparono attivamente alla guerriglia sostenendo le operazioni alleate, ma è solo agli eserciti anglo-americani che si deve la sconfitta dei tedeschi. Dopo l’8 settembre i comandi Alleati non volevano nemmeno che l’esercito italiano partecipasse alle operazioni militari, tanto miserevoli erano le sue condizioni, né vollero mai riconoscere la Resistenza come una controparte legittimata nelle negoziazioni, lasciando a Badoglio e al Re il ruolo di garanti dell’armistizio.
Senza i bombardieri e i mezzi corazzati anglo-americani ben poco si sarebbe potuto liberare. Il 25 aprile è stato caricato di una inusitata potenza messianica dimenticando le condizioni in cui ci si arrivò e la tragica attitudine del popolo italiano a correre sempre e comunque in soccorso del vincitore, acquisendo consapevolezza a cose fatte. Una guerra civile più che una guerra di liberazione, con divisioni immense, a volte sanguinarie, tra le brigate partigiane, considerando che se le fazioni comuniste avessero preso il sopravvento come si temeva oggi forse tutto il Friuli parlerebbe serbo.
Ad ogni modo, raccontiamo questa storia, come già detto, solo per infastidire un pochino la narrazione ufficiale, consapevoli che nulla cambierà e che la retorica trionferà in ogni caso. Vale la pena concludere questa digressione, a ulteriore monito sul carattere degli italiani, riferendo il racconto di Arrigo Petacco su come la dichiarazione di guerra fu recapitata alla Germania.
Siccome nessuno in Italia voleva prendersi una responsabilità così gravosa l’incarico venne affidato all’ambasciatore italiano in Spagna, il quale affidò ad un suo funzionario la lettera contenente la dichiarazione di guerra ordinandogli di consegnarla al primo delegato tedesco che gli aprisse la porta dell’Ambasciata. Il funzionario italiano così fece e dopo aver recapitato la lettera nelle mani di un anonimo impiegato tedesco fuggì via, con il tedesco che lo inseguiva ordinandogli di riprendersi quella lettera una volta capito di cosa si trattava.
L’ambasciatore italiano concluse che la dichiarazione era da dirsi valida secondo il diritto internazionale poiché avendola respinta, i tedeschi dimostravano di averla letta e compresa, e questo era sufficiente per considerarla legittima. Ecco chi siamo. Buon 25 aprile!
Francesco Teodori, 24 aprile 2024
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