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#cancelwhitepeople: il razzismo degli antirazzisti

Attori che si scusano per aver dato la voce a personaggi di colore (PoC). Bianchi che si scusano per il fatto di essere bianchi. Chi viene braccato sui social perché 20 anni fa si vestiva da indiano; chi perde lavoro e amici per aver osato dire “All lives matter”.
La cuoca accusata di appropriazione culturale (Alison Roman). La youtuber in lacrime che si autocancella perché nei suoi video satirici qualche volta a preso in giro dei Poc (Jenna Marbles). E perché negli scacchi il bianco muove per primo?

Decisamente la moderna crociata anti-razzista del Black Lives Matter impone ai bianchi standard morali elevatissimi. Ed è tutto un fiorire di pubbliche confessioni contrite come nei vecchi campi di rieducazione marxisti. Almeno però i marxisti si limitavano alla sola purificazione ideologica, mentre agli imputati di oggi si chiede di fare ammenda per il colore della propria pelle.

D’altra parte invece che succede? Quanto sono immacolati gli attivisti dell’antirazzismo che abbiamo lasciato si sedessero, contemporaneamente, sugli scranni di accusa e giuria?

Munroe Bergdorf è una modella transessuale britannica. Ecco cosa ha scritto questa paladina della lotta al razzismo nel 2017. “Onestamente, non ho più l’energia di parlare della violenza razzista dei bianchi. Sì, di TUTTI i bianchi”. E poi “La vostra intera esistenza è inzuppata di razzismo, dalle microagressioni al terrorismo”. “Quando i bianchi cominceranno ad ammettere che la loro razza è la più violenta e oppressiva forza sulla Terra… allora potremo parlare”.

A seguito di queste dichiarazioni l’Oreal rescinde il contratto con la modella: “Noi sosteniamo la tolleranza nei confronti di tutte le persone al di là del colore della pelle”, scrivono in un comunicato. Questo 2017. Nel 2020 completo dietrofront. Munroe Bergdorf viene reintegrata tra mille scuse da L’Oreal e messa nel consiglio “per l’inclusione e la diversità”. Le frasi di cui sopra sono diventate, nel nuovo clima politico, qualcosa di cui vantarsi, mentre lei continua ad atteggiarsi da vittima. “Tre anni fa mi avete gettato in pasto ai lupi, perché avevo denunciato la supremazia dei bianchi”.

Lieto fine? Credo di no. Ma andiamo avanti.

Siamo nel 2018. La giornalista di origine coreana Sarah Jeong, entra nel board editoriale del New York Times. Il prestigioso quotidiano fa naturalmente dell’antirazzismo un suo vessillo e lei è nota per la sua crociata contro i messaggi d’odio che circolano online. Poi però viene fuori quello che lei scrive online, sul suo profilo twitter sotto l’hashtag #cancelwhitepeople. “Oh gente, è quasi una malattia la gioia che mi dà essere crudele nei confronti dei vecchi uomini bianchi” (Oh man it’s kind of sick how much joy I get out of being cruel to old white men). E poi: “Visto che i bianchi si bruciano più facilmente al sole, mi sembra logico che siano messi a vivere sottoterra come dei goblin striscianti” (like groveling goblins). La promozione al New York Times è saltata? Ma niente affatto. Poverina, spiegano al New York Times, lei stava semplicemente combattendo il razzismo “usando lo stesso linguaggio dei razzisti”.

Andiamo avanti.

Nikole Hannah-Jones, la principale voce del Progetto 1619, pubblicato sempre dal New York Times. Una contestatissima ricostruzione storica la cui unica tesi è dimostrare come tutta la storia degli Stati Uniti, indipendenza compresa, sia tesa a preservare la schiavitù.

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