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Bonus vacanze, perché rischia di essere un flop

La domanda dei servizi turistici può funzionare solo se verrà utilizzato lo stesso approccio del settore dell’edilizia

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Tra le misure dedicate al settore turistico rinvenibili nelle bozze del “Decreto Rilancio” (ex “decreto Aprile”), la prima in ordine di comparizione è quella che introduce per l’anno 2020 il cosiddetto “bonus vacanze”. Si tratterebbe di un “tax credit” fruibile da nuclei familiari con Isee non superiore a 50.000 euro, a fronte di spese sostenute nel secondo semestre 2020, fino ad un massimo di 500 euro (300 euro per i nuclei familiari composti da due persone, 150 euro per quelli composti da una sola persona), per il pagamento di servizi offerti in ambito nazionale dalle imprese turistico ricettive e dai bed & breakfast, senza l’intervento o l’intermediazione di soggetti che gestiscono piattaforme o portali telematici.

Il “tax credit” assumerebbe:

1) per l’80%, natura di “sconto sul corrispettivo” da parte del fornitore del servizio turistico che potrebbe poi utilizzarlo, quale credito di imposta, in compensazione con i propri debiti tributari e contributivi, salvo facoltà di cederlo a terzi, banche comprese;

2) per il restante 20%, natura di detrazione Irpef da scomputare in sede di dichiarazione dei redditi del “vacanziero”.

È auspicabile che questa proposta possa subire una adeguata evoluzione prima della sua definitiva approvazione. L’idea di sostenere la domanda di servizi turistici nel 2020 con un meccanismo di detrazione Irpef/credito di imposta, cedibile a terzi banche comprese, non è sbagliata in assoluto e può anzi funzionare così come funziona da anni per il settore dell’edilizia. Perché questo avvenga, è però necessario che sia utilizzato il medesimo approccio.

  • In primo luogo, è necessario che il vantaggio fiscale sia consistente e non un’elemosina. Per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, sono ormai molti anni che il vantaggio fiscale si attesta sul 50% di spese che sono riconosciute fino a 96.000 euro. Fatte le proporzioni, si potrebbe in questo caso ragionare su una medesima percentuale (50%) e un tetto di spese riconosciute non inferiore a 4.800 euro (un ventesimo di quello “edile”), fermo restando l’obbligo di pagamento delle medesime con mezzi tracciabili.
  • In secondo luogo, è necessario che anche in questo contesto il vantaggio fiscale non sia limitato a platee di soggetti con limitati mezzi economici, ma sia aperto allo stesso modo a tutti i contribuenti. Solo coinvolgendo chi ha disponibilità economiche si potrà infatti spingere ciascuno a concedersi qualcosa in più rispetto a quello che altrimenti farebbe, dando ossigeno vero al settore la cui offerta ci si propone per l’appunto di sostenere utilizzando la leva fiscale sul lato della domanda. Solo così diversamente concepito il “bonus vacanze” potrebbe davvero svolgere il suo ruolo di moltiplicatore della domanda per il turismo, così come avviene da anni per l’edilizia.

Il nodo delle risorse, disponibili per attuare interventi di questo tipo, ovviamente esiste e non può essere ignorato; tuttavia, prima di pensare a bonus al 110% per altri settori già attualmente coperti da bonus che possono attivare fino all’85%, sarebbe opportuno pensare in questo 2020 al settore turistico che, a legislazione vigente, sta invece allo 0%. Per altro, può non essere nemmeno necessario ragionare in termini di trade off tra turismo ed edilizia. Già stanziati nel bilancio dello Stato ci sono ben 6 miliardi di euro (3 sul 2021 e 3 sul 2022) per il c.d. “cashback” (ossia l’incentivo per chi paga con moneta elettronica).

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