Dopo le dimissioni da primo ministro, sono arrivate anche quelle da leader del Partito Conservatore. Così finisce l’era politica di Boris Johnson, dopo gli scandali del Partygate e di Chris Pincher, uno dei suoi fedelissimi, accusato di molestie nei confronti di due uomini, dopo una serata passata in un pub a Mayfair.
Fermo propinatore della Brexit, assumendo a larghi tratti una politica economica thatcheriana, BoJo è stato anche tra i primi leader europei a schierarsi a fianco di Kiev, dopo l’invasione di Vladimir Putin. Non è un caso che, Stati Uniti ed Uk, insieme, siano i primi due Stati ad offrire maggiori contributi e aiuti militari all’Ucraina. Poche settimane fa, fu lo stesso Boris Johnson a rivelare di essere pronto a mettere a disposizione la conoscenza bellica inglese, proprio per addestrare le forze di resistenza del governo Zelensky.
La stretta alleanza tra Londra e Kiev
Nel corso delle scorse settimane, infatti, i militari della Regina hanno installato un centro in Polonia per addestrare i soldati ucraini all’uso delle armi inviate. Tra questi, si ricordano i centoventi veicoli blindati che continuano ad arrivare sul suolo del Paese invaso, oltre ad ottanta mezzi di supporto all’azione militare. Insomma, la posizione di Johnson è sempre stata chiara: al termine del conflitto, l’Ucraina non dovrà essere vittima di un armistizio. Le condizioni di pace devono essere dettate da Kiev stessa, non riconoscendo alcun compromesso con Mosca, la quale dovrà abbandonare tutti i territori sovrani aggrediti.
Lo stesso Zelensky, al momento dell’annunciato addio di Boris a Downing Street, si è espresso con un tweet, definendolo “un fedele amico del popolo ucraino. Grazie per l’amicizia: ci mancherai”.
Nel frattempo, mentre la Gran Bretagna è in attesa del nuovo primo ministro, Putin può parzialmente festeggiare: uno dei principali ostacoli della causa russa è stato tolto di mezzo, anche se rimangono alcuni aspetti rilevanti da sottolineare.
Che succede all’Ucraina ora?
Se, in Italia, il panorama politico è spaccato tra “pacifisti” e “interventisti”, ovvero tra chi è contrario e favorevole all’invio di armi all’Ucraina, il fronte britannico è ben più compatto rispetto a quanto possiamo immaginarci: laburisti e conservatori, sin dall’inizio della guerra, hanno assunto fermissime posizioni a sostegno del governo Zelensky. Anzi, pare che l’opposizione labour, capeggiata dall’avvocato Starmer, utilizzi toni ancor più aspri e diretti rispetto a quelli assunti in questi mesi da Johnson.
A pochi giorni dall’inizio del conflitto, infatti, Sir Starmer definiva Putin “un criminale di guerra”, specificando come le sue azioni avrebbero portato “a orribili conseguenze”. Più volte, la segreteria labour ha accolto di buon grado le sanzioni a Mosca, oltre ad aver parlato di “conseguenze decise e pesanti”. E questo perché l’attacco a Kiev è un “attacco alla democrazia”.
Insomma, l’orientamento dell’opposizione può trovare un proprio fondamento nelle posizioni della Casa Bianca democratica. Si ricordi, infatti, come fu lo stesso Biden ad auspicare un cambio di regime a Mosca, per poi venire smentito dal proprio staff imbarazzato e, in pieno contrasto, ribadire ancora una volta la frase pronunciata.
Seppur la Gran Bretagna stia attendendo la sostituzione del primo ministro (Starmer ha richiesto le elezioni anticipate, ma non ha i voti sufficienti), con quasi ogni probabilità, tra un anno e mezzo saranno proprio i laburisti a presenziare a Downing Street, dopo quattordici anni di assenza. C’è da sperare che il conflitto ucraino sia già terminato, perché altrimenti Putin potrebbe trovarsi dinanzi a un avversario ancora deciso. Così come lo è stato Boris fino ad oggi.
Matteo Milanesi, 9 luglio 2022