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Bravo Sileri, che stronca gli avvoltoi della seconda ondata

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Pierpaolo Sileri, professione capro espiatorio. Uno che non alza la voce, non le spara grosse anzi si presta a coprire le bordate altrui. In questi mesi di epidemia, di lockdown, di follie governative e mediatiche c’era spesso lui in televisione a ricevere critiche, a metterci la faccia anche per il superiore gerarchico, il ministro della Salute, si fa per dire, Roberto Speranza; ed era Sileri che tentava di salvare il salvabile: mai uno scatto o uno scazzo, piuttosto la calma di chi sa di che parla, a costo di spiacere. Sarà che questo politico ancor giovine, 48 anni da compiere, romano, avrà pure il faccione pacioso da salumiere, ma, prima che viceministro, è medico chirurgo, un curriculum già lungo così (svariate specializzazioni e 167 pubblicazioni scientifiche all’attivo) e, a quanto pare, le palle giuste.

Tra le diverse battaglie civili intraprese, perché la scienza poesse civile e poesse ‘n’affare: per lui è una cosa civile, con la spinta ad inserire l’educazione sanitaria a scuola, con l’impegno in favore dei bambini autistici (con una raggiera di altre buone cause) ha trovato modo e tempo di far scoppiare un casino epocale a proposito di presunte nomine pilotate all’università di Tor Vergata, sfociato nel rinvio a giudizio del Rettore.

Tipino, dunque, da prendere con le molle dietro l’apparenza conciliante. Il coraggio, lo ha dimostrato, non gli manca: il 2 febbraio parte per Wuhan, già in pieno disastro epidemico, alla testa di una spedizione di sanitari per riportare a casa 56 italiani, torna col virus incorporato, ma non ne fa un dramma: lo sconfigge e continua a prendersi rogne in una situazione apocalittica, in senso amministrativo non meno che sanitario. Non si capisce perché non ci sia lui al posto di Speranza, ma si può capire, invece, come mai gli venga assegnata una tutela di polizia: ha rotto i coglioni anche a proposito della destinazione dei fondi pubblici per il coronavirus, insomma uno al quale, a quanto pare, le cose storte proprio non piacciono. Antitaliano, o italiano vero? Comunque Sileri ispira una certa fiducia, dà l’idea di uno disposto a capire, a spiegarsi, ma non a piegarsi; suggerisce l’idea di uno scienziato serio ma – o, meglio, proprio per questo – dissidente. Non ha alimentato catastrofismi, cercando per quanto possibile di mediare tra le varie istanze a pendolo tra salute pubblica e necessità di esistere, di muoversi, di tornare a lavorare, a produrre.

Anche oggi, non esita a mettersi dalla parte del torto, in rara ma qualificata compagnia degli Zangrillo, dei Remuzzi: “Si parla di una nuova ondata del virus a settembre – ottobre, ma io credo che così non sarà: se diamo un messaggio di paura non ripartiremo, dobbiamo ripartire che il virus c’è e bisogna conviverci (…) Se continuiamo a creare terrore, l’Italia non riparte”.
Se continua così Sileri, altro che tutela gli va assegnata: manco la scorta di Saviano gli basta, e i cecchini, almeno in senso politico, gli vengono da dentro, dalla maggioranza di cui fa parte, totalmente appecoronata sul terrorismo più sbracato e meno credibile. Ha detto, giorni fa, il ministro Francesco Boccia, quello che voleva sguinzagliare le guardie del distanziamento sociale (a proposito, com’è finita? Qualcuno li ha visti?): “Il virus finirà quando lo dice Speranza”. Ha detto Speranza: “Il virus finirà quando ci sarà il vaccino”. Ha detto l’Oms made in China (e difatti è un prodotto scadente, tarocco, inaffidabile, che si rompe subito e soprattutto rompe i maroni con le sue seconde ondate, le ondine, le epidemie spagnole, le pesti bubboniche e altre ecatombi a grappolone): “Il vaccino ci sarà quando si metteranno d’accordo”, s’intende i vari Bill Gates, Big Pharma, governo pechinese.

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