Cortei per la pace e per i diritti civili, manifestazioni sindacali e studentesche, parate pride e sfilate carnascialesche, e adesso persino la festa di fine Ramadan. Da un paio d’anni a questa parte, per l’esattezza dopo il 25 settembre 2022 (data delle ultime Elezioni Politiche), ogni momento sembrerebbe essere diventato quella buono per dare alle fiamme un fantoccio o un’immagine del Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, Giorgia Meloni. Un appuntamento ormai abituale, al punto da non riuscire più destare sorpresa né scalpore. Talmente scontato da risultare spesso persino banale. Valido, insomma, per tutte le stagioni e per tutte le occasioni.
Un rito crudo e inconsulto, dettato un pò dal perdurare di una condizione di manifesta inferiorità divenuta ormai patologica, e un pò dalla necessità di dare sfogo alla rabbia e di esorcizzare la paura, che denota, qualora ve ne fosse ancora la necessità, tutta l’intolleranza e la faziosità degli esecutori, quei soliti noti, reazionari per natura, antifascisti per convenienza e illiberali per vocazione.
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C’è un passaggio, tuttavia, che costoro, evidentemente, non hanno ancora colto o ben compreso: ardere idealmente al rogo Giorgia Meloni in ogni circostanza possibile, non basterà per sbarazzarsene nè tantomeno servirà ad indebolirla. Anzi, al contrario, i ripetuti attacchi sferrati col vile intento di delegittimare, o peggio, di intimidire la leader di Fratelli d’Italia, sortiranno (come peraltro accaduto fino ad oggi) quale unico e solo effetto quello di rafforzarla, personalmente, politicamente ed elettoralmente. Piaccia o meno a Pro-Pal, antifà, collettivi, femministe, attivisti e idioti di vario genere, colore e specie, i quali, loro malgrado, potranno al massimo limitarsi a continuare a fare gli incendiari antigovernativi anche nel prossimo futuro.
Salvatore Di Bartolo, 1° aprile 2025
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