Esteri

Brutte notizie per chi spera nelle rivolte in Iran

Brutte notizie per chi spera che la scomparsa del presidente iraniano Ebrahim Raisi possa dare il là a significativi cambiamenti nella Repubblica Islamica. Il clamore mediatico suscitato nell’opinione pubblica dall’incidente in cui ha perso la vita Raisi è senz’altro stato sensazionale, ma, a ben vedere, le conseguenze politiche legate alla morte del presidente saranno di molto inferiori rispetto alle attese.
Innanzitutto, perché in Iran a detenere le leve del potere non è chi ricopre la carica di Presidente, bensì la Guida Suprema, massima carica religiosa e amministrativa prevista dalla Costituzione iraniana, ovverosia l’ayatollah Ali Khamenei, e il Consiglio dei Guardiani della Costituzione, organo costituzionale composto da dodici membri, di cui sei teologi nominati direttamente dalla Guida Suprema, e sei giuristi nominati dal potere giudiziario, dipendente anch’esso dalla Guida Suprema.

Ergo, in Iran tutto il potere è incentrato nelle mani dall’ayatollah Khamenei, ragion per cui, la dipartita del presidente non avrà risvolti significativi sulla stabilità del governo. Il posto di Raisi sarà momentaneamente occupato dal primo vicepresidente esecutivo, Mohammad Mokhber, che assumerà il ruolo di presidente ad interim. Nel frattempo, il Consiglio dei Guardiani avrà il compito di organizzare l’elezione di un nuovo presidente entro il termine di cinquanta giorni, sebbene l’iter previsto dalla Costituzione iraniana abbia veramente poco di democratico. È lo stesso Consiglio, infatti, a passare al vaglio le varie candidature, e, se necessario, ai dodici membri dell’organo collegiale è persino consentito di invalidare il voto popolare. Di più: l’ayatollah, che come detto ha il pieno controllo del Consiglio, potrebbe finanche chiedere ai Guardiani di nominare il successore di Ebrahim Raisi senza neppure ricorrere alle urne.
Insomma, la Guida Suprema deciderà comodamente e in piena autonomia modalità, tempi e nome del successore di Raisi, che, peraltro, non era granché amato dagli stessi iraniani.

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Per di più, Ali Khamenei potrà adesso strumentizzare l’incidente in funzione antioccidentale, gettando ombre sull’eventualità di un coinvolgimento di Usa e Israele per compattare ulteriormente il popolo iraniano attorno alla sua figura.
Morale: non solo la morte di Raisi non scalfirà minimamente l’integralismo della Repubblica Islamica, ma potrebbe persino finire col rafforzare la leadership dall’ayatollah.

Salvatore Di Bartolo, 21 maggio 2024