La guerra in Ucraina

Bucha, il “macellaio” si difende: “Mai combattuto lì”

La prova di Kiev che inchioderebbe Kolotsey come il responsabile della strage non sembra reggere

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Sergej Kolotsey Bucha

Bucha continua ad essere al centro dell’attenzione e, nonostante l’interminabile chiacchiericcio, a quanto pare nessuno – o quasi – si sta dando da fare per condurre un’indagine neutrale e oggettiva. La polizia ucraina, invece, ha aperto fino ad adesso 9158 procedimenti penali per la morte dei civili, i bombardamenti, gli stupri e le deportazioni: procedimenti che non ci è permesso consultare – ovviamente – ma dei quali non sono rese note nemmeno le modalità con cui vengono svolte.

Ad oggi, i media italiani riprendendo ciò che ha pubblicato il Procuratore generale ucraino Iryna Veneditkova e cioè la pesantissima accusa nei confronti di Sergei Kolotsey che, secondo la polizia ucraina, avrebbe ucciso 4 uomini disarmati durante la strage di Bucha e, nei giorni successivi, torturato e sottoposto un civile a una finta esecuzione. In sua difesa il cosiddetto “macellaio di Bucha” avrebbe sostenuto, mediante la sua pagina VKontakte – il Facebook russo, praticamente – di essere completamente estraneo ai fatti: “Voi siete fuori di testa. Voglio dire a quelli che usano queste informazioni contro di me e la mia famiglia che io non ho niente a che fare con tutto questo. Non metto piede fuori dalla Bielorussia da più di due anni. Hanno fatto di me un criminale di guerra, ma non ho niente a che vedere con le forze armate e non ho nemmeno prestato servizio nell’esercito”.

Le due versioni, nonostante i titoli sensazionali, non hanno prove concrete su cui basarsi, o almeno non alla nostra portata. Se le parole di Kolotsey non possono essere verificate, e cioè non possiamo sapere se effettivamente abbia lasciato la Bielorussia e se, in quel caso, abbia preso parte alla strage di Bucha – sulla quale ancora molte cose restano poco chiare – sicuramente la “prova” del suo coinvolgimento diffusa dalle autorità ucraine sembrerebbe fare acqua da tutte le parti. Sarebbe un video, infatti, a inchiodare il protagonista: immagini all’interno del servizio di spedizioni Sdek, a Mozyr la città di Kolotsey. Le immagini incriminate mostrerebbero i russi inviare a casa oggetti probabilmente rubati in Ucraina.

In particolare, si vede l’imputato – come rivela Venedetiktova – spedire in Russia il cofano di un’auto. Il bielorusso nelle immagini sta infatti impacchettando l’oggetto e non indossa abiti militari.
Questo basta agli investigatori ucraini per tacciarlo come il mandante dell’efferato sterminio di Bucha “il filmato della spedizione è da considerarsi una prova del suo coinvolgimento”. Tralasciando le tifoserie, che non ci interessano, ci chiediamo: qual è il nesso tra un uomo che nella sua città sta impacchettando un cofano della macchina e l’imputazione di aver commesso omicidi, stragi e quant’altro? Su quali basi Kiev – visto che non vengano rilasciate ulteriori dichiarazioni – getta nella macchina mediatica la reputazione di un uomo senza avere conferme concrete?

“L’ho spedito in Russia, è vero – scrive Kolotsey riguardo a quel cofano della macchina – Ma l’ho venduto dopo aver pubblicato un annuncio di vendita prima dei fatti di Bucha. La Procura ucraina incolpa chiunque spedisca pacchi in Russia?”. Di certezze non ce ne sono, come sottolinea anche l’Ucraina nonostante abbia diffuso nome e cognome del probabile criminale, certo è che una ripresa all’interno di un centro di spedizioni in un altro stato appare una prova un tantino riduttiva riguardo al complesso caso di Bucha.

Bianca Leonardi, 4 maggio 2022

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