Nessuno mette in dubbio i racconti degli orrori, le testimonianze dei sopravvissuti, le cronache degli inviati, la fame patita per un mese di dominazione russa su Bucha. Però la storia bisogna conoscerla per intero: se gli ucraini annunciavano un’operazione dei corpi speciali per stanare i collaboratori, dove sono finiti questi “traditori”? Li hanno arrestati o passati per le armi? E come è possibile che i corpi restino in strada per 15 giorni? Perché nessuno li ha seppelliti, se di fosse comuni ne sono state trovate a bizzeffe? Sono forse i cadaveri dei collaborazionisti?
Il punto non è capire se a Bucha siano stati commessi dei crimini. Quello è orribilmente scontato. La questione è osservare se la macchina mediatica sta facendo di tutto per creare “il punto di non ritorno” per un’ulteriore escalation del conflitto. Un qualcosa che convinca anche i più riluttanti a indossare l’elmetto. E magari a imbarcarsi in un lungo conflitto con la Russia dal sapore nucleare. La Nato e il Pentagono che si dicono certi di una possibile vittoria dell’Ucraina non sono un buon segnale.
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