Toni Capuozzo non ci sta. Dopo essersi posto delle domande su Bucha, dopo aver chiesto di chi sono i corpi lasciati in strada e fotografati dai reporter all’arrivo nella città vicino a Kiev, dopo aver mostrato i video dei soldati ucraini che vanno alla “caccia” di disertori al soldo di Mosca, dopo aver chiesto indagini accurate e non sentenze a priori, dopo aver parlato del filmato in cui si vedono militari di Zelensky “decapitare e giustiziare” dei nemici russi, ecco: dopo tutto questo ha deciso di “stare alle immagini”.
“Faccio delle domande e nessuno risponde”, dice lo storico inviato di guerra, uno che le bombe le ha viste cadere sopra le proprie teste e conosce la propaganda da una parte e dall’altra delle barricate. “Pubblico le fotografie di una vittima di Bucha – la stessa persona – e niente, è stata spostata a nostra insaputa, a beneficio di cosa?”. Le immagini parlano da sole: stesso posto, stessa vittima, ma il corpo in un altro luogo. Perché? E poi ci sono gli scatti di un cumulo di cadaveri dentro a quello che sembra uno scantinato. “Ma solo io mi accorgo che in almeno due fotografie le vittime hanno il bracciale bianco dei filorussi? – continua Capuozzo – Cos’è stato, il suicidio di una setta? Attendo risposte dai maestri che distribuiscono sdegno, pur di farci accettare tutto, economia di guerra e guerra stessa”.
Sin dall’inizio di questa vicenda, quando a Quarta Repubblica il cronista presentò tutti i suoi dubbi su Bucha, mai Capuozzo ha messo in dubbio che in Ucraina vi sia un aggressore e un aggredito. Kiev e Mosca non sono sullo stesso piano. Ma i soldati di entrambi gli schieramenti combattono una guerra. E la guerra significa orrore, stupri (sì, l’Onu sta indagando pure su violenze sessuali ucraine), omicidi, razzie. Propaganda. Quella che ha permesso a un grande giornale italiano di spacciare i morti filorussi di Donetsk per una strage di ucraini. O quella che ci ha raccontato per giorni del sacrificio dei soldati ucraini all’isola dei Serpenti, in realtà vivi e vegeti e ora tornati in Patria.
Nessuno mette in dubbio i racconti degli orrori, le testimonianze dei sopravvissuti, le cronache degli inviati, la fame patita per un mese di dominazione russa su Bucha. Però la storia bisogna conoscerla per intero: se gli ucraini annunciavano un’operazione dei corpi speciali per stanare i collaboratori, dove sono finiti questi “traditori”? Li hanno arrestati o passati per le armi? E come è possibile che i corpi restino in strada per 15 giorni? Perché nessuno li ha seppelliti, se di fosse comuni ne sono state trovate a bizzeffe? Sono forse i cadaveri dei collaborazionisti?
Il punto non è capire se a Bucha siano stati commessi dei crimini. Quello è orribilmente scontato. La questione è osservare se la macchina mediatica sta facendo di tutto per creare “il punto di non ritorno” per un’ulteriore escalation del conflitto. Un qualcosa che convinca anche i più riluttanti a indossare l’elmetto. E magari a imbarcarsi in un lungo conflitto con la Russia dal sapore nucleare. La Nato e il Pentagono che si dicono certi di una possibile vittoria dell’Ucraina non sono un buon segnale.
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