Quando un campione dello sport decide di ritirarsi riaffiorano in noi alcune istantanee della sua carriera, soprattutto quelle legate ad emozioni indimenticabili che custodiremo per sempre. Se penso a Gigi Buffon, non posso non ricordare il Mondiale 2006 e la sua parata sul colpo di testa di Zidane nel primo supplementare della finale con la Francia; quell’intervento prodigioso ci permise di rimanere a galla sull’1-1 con gli azzurri poi ad alzare la Coppa del Mondo sotto il cielo di Berlino dopo i calci di rigore.
La scelta di Buffon di appendere gli scarpini al chiodo all’età di 45 anni mi dà lo spunto per fare alcune riflessioni.
In generale per tutti gli sportivi, ma soprattutto per coloro che rappresentano veri e propri mostri sacri delle proprie discipline, esiste un momento giusto per mettere la parola fine alla propria carriera? La scelta migliore sarebbe quella di ritirarsi quando si è raggiunto l’apice magari lasciando dopo una vittoria prestigiosa oppure si dovrebbe proseguire fino a quando si hanno stimoli e voglia di lottare (indipendentemente dall’età) accettando anche la possibilità di un fisiologico calo in termini di competitività e risultati?
Michael Jordan (classe 1963), protagonista di una carriera suddivisa in 3 fasi, ha chiuso la sua seconda parentesi cestistica da vincente; il fuoriclasse del basket si è ritirato per la seconda volta ad inizio 1999 dopo avere conquistato l’anno precedente il suo 6° ed ultimo titolo NBA trascinando i Chicago Bulls nella finale con gli Utah Jazz. Nonostante MJ sia poi tornato a calcare il parquet tra il 2001 ed il 2003 con la canotta dei Washington Wizards (di cui nel frattempo era diventato comproprietario), uno dei ricordi indelebili che ci ha lasciato è proprio quel fantastico arresto e tiro a pochi secondi dal termine di gara 6 che decise la serie finale con i Jazz.
Cambiando sport e guardando in casa nostra non possiamo non ricordare Flavia Pennetta (classe 1982), una delle più grandi tenniste azzurre di sempre; la brindisina decise di ritirarsi a fine 2015 all’età di 33 anni dopo aver conquistato gli US Open (unica italiana insieme a Francesca Schiavone ad aver vinto un titolo del Grande Slam al femminile in singolare) ed aver raggiunto nello stesso anno il suo best ranking personale di sempre in singolare (issandosi fino al n. 6 della classifica mondiale WTA).
E che dire di Alberto Tomba (classe 1966), lo sciatore italiano con più vittorie in Coppa del Mondo e vincitore di medaglie olimpiche e mondiali; il fuoriclasse bolognese chiuse la propria fantastica carriera nel 1998 conquistando l’ultimo slalom speciale disputato.
Valentino Rossi (classe 1979) ha invece optato per un percorso differente; il 9 volte campione del mondo, una vera e propria leggenda delle 2 ruote, ha dato l’addio al termine della stagione 2021 all’età di 42 anni vivendo nella parte finale della propria carriera un fisiologico calo in termini di competitività e risultati, trovandosi talvolta a lottare nelle retrovie e a battagliare con avversari molto meno blasonati.
Anche il grande Gigi Buffon (classe 1978), uno dei portieri più forti e longevi di sempre, ha vissuto una fase finale calante della propria fantastica carriera. Tornato alla Juventus nel 2019 dopo la partentesi al PSG, ha accettato il ruolo di vice Szczesny per poi trasferirsi nel 2021 al Parma (dove era iniziata la sua carriera) in Serie B: al termine di un biennio in Emilia in cui ha cullato il sogno di riportare i ducali nella massima serie ha poi deciso di appendere gli scarpini al chiodo.
Nel mio immaginario ho sempre pensato che un campione dello sport avrebbe dovuto ritirarsi all’apice della propria carriera, magari subito dopo la conquista di un trofeo o di una vittoria di prestigio; l’idea di un campione che dopo aver vinto tutto potesse accettare di convivere con la propria perdita di competitività ad alto livello, anche semplicemente per questioni anagrafiche, suscitava in me delle perplessità.
Ammetto però che esempi come quelli citati di Valentino Rossi e Gigi Buffon mi hanno fatto ricredere portandomi ad ammirare ancora di più campioni di cui ho seguito le gesta con grande passione fin da ragazzo.
A maggior ragione per chi nella propria vita sportiva ha vinto tanto ed è sempre stato ai vertici, ritengo non sia per nulla semplice affrontare una fase di declino gareggiando anche solo per passione e con la consapevolezza che la lotta per la vittoria sia ormai un affare altrui.
Da un punto di vista umano, ho sentito molto più vicini a me questi campioni nella parte conclusiva della loro carriera e ne ho apprezzato infinitamente la grande umiltà e la voglia di continuare a mettersi in gioco pur non dovendo dimostrare nulla a nessuno.
Giustamente si dice che lo sport è un po’ una metafora della vita; si può vincere e si può perdere ma ciò che fa la differenza sono il cuore, la passione e l’impegno che mettiamo in ciò che facciamo. E come ci insegnano anche questi campioni, finché abbiamo dentro qualcosa che ci fa vibrare ed emozionare, vale sempre la pena andare avanti continuando a coltivare i nostri sogni e le nostre passioni.
Enrico Paci, 6 agosto 2023