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Il “buono-scuola” per una “buona scuola” (Dario Antiseri)

La buona scuola? Molto meglio il buono-scuola

Proprio in queste settimane la politica italiana si è affannata a riproporci l’ennesima riforma della scuola.

Il governo Renzi ha chiamato la legge: Buona scuola. Sarebbe stato sufficiente cambiare una vocale e la riforma sarebbe stata spettacolare. In un piccolo saggio in uscita per i tipi della Rubbettino, il nostro favoloso Dario Antiseri riepiloga la vecchia ma sempre giovane proposta del Buono scuola.

L’idea del buono scuola è talmente di buon senso che non si riesce a capire per quale dannato motivo non sia stata già adottata. O meglio si capisce troppo bene: esso metterebbe in competizione pubblico e privato e renderebbe del tutto superflui alcuni giganteschi sprechi di Stato a cui corrispondono consorterie ben identificate.

Intanto fa bene Antiseri a sgomberare subito nel primo capitolo un equivoco: «Chi difende la scuola libera non è affatto contrario alla scuola di Stato; è solo contrario al suo monopolio».

Oggi si sta dibattendo sulle vacanze dei professori. In una scuola libera a decidere sarebbe il mercato e cioè le famiglie degli studenti: sceglierebbero l’istruzione per i propri figli anche in funzione di un’offerta diversificata sotto questo aspetto.

Antiseri, rispolverando Popper, ci spiega come la competizione (anche quella tra scuole) sia la più alta forma di collaborazione e finalmente in poche righe ci ricorda la proposta e la filosofia di Milton Friedman sul tema. «Una società stabile e democratica – scrive il premio Nobel per l’economia – è impossibile senza un certo grado di alfabetismo e senza una diffusa accettazione di alcuni complessi comuni di valori. L’educazione di mio figlio contribuisce anche al vostro benessere…».

Da ciò deriva la possibilità, anche per un liberista come Friedman, di un intervento pubblico, ma attraverso la concessione ai genitori «di titoli di credito per servizi scolastici approvati». L’intervento dello Stato dunque deve essere volto al finanziamento delle famiglie e non necessariamente alla fornitura del servizio, che le famiglie dovrebbero essere libere di acquistare sul mercato.

Nicola Porro, Il Giornale 29 marzo 2015