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Burocrazia canaglia: ci mancava il lasciapassare sportivo per correre

uomo corre certificato medico © Rutchapong e mart production tramite Canva.com

Sabato scorso ho partecipato, in qualità di atleta, alla premiazione di un circuito podistico organizzato in Umbria dall’Endas, uno dei tanti enti di promozione sportiva che fino al 2017 rappresentavano, non solo nel podismo amatoriale, la struttura portante di un movimento che conta oltre 200mila praticanti tesserati. Ma da quel momento in poi c’è stata una vera e propria rivoluzione nel settore o, per meglio dire, una sorta di anacronistica controriforma che ha svuotato di fatto gli organici degli stessi Eps, a tutto vantaggio della Federazione italiana di atletica leggera la quale, pur essendo anch’essa un ente di diritto privato, rappresenta il Coni, ossia la pubblica autorità nel campo dello sport.

Il grimaldello per ottenere un quasi assoluto monopolio nel mondo dei cosiddetti tapascioni – così vengono definiti gli appassionati del podismo amatoriale, molto spesso con carriere sportive di lungo corso – è stata l’istituzione di una cartuccella, detta runcard, che neppure i più ottusi burocrati del defunto impero sovietico sarebbero stati in grado di immaginare.

In sostanza, questo vero e proprio permesso a competere – tale lo definiscono gli atti ufficiali del Coni e della Fidal – è stato reso obbligatorio nelle manifestazioni podistiche di un certo rilievo nazionali, come la Roma-Ostia, la Stramilano, le classiche maratone di 42,195 km e tutta una serie di competizioni regionali di minore richiamo ma che, rientrando nei criteri capestro della Fidal, richiedono il possesso di questa sorta di lasciapassare sportivo. A meno che, e qui viene il bello, non ci si tesseri con una società affiliata alla medesima Fidal, altrimenti per tutti gli altri figli di un dio minore aderenti ad un ente di promozione sportiva non resta che sobbarcarsi un doppio tesseramento.

Ora, questo ennesimo cappio burocratico, particolarmente odioso in uno sport, la corsa di fondo, che ha sempre rappresentato uno dei più significativi simboli di libertà, ha “convinto” gran parte dei dirigenti e dei loro atleti a semplificarsi la vita, per così dire, passando in massa sotto le bandiere della Fidal, sopportando costi di affiliazione e oneri burocratici ben più pesanti rispetto a quelli imposti dai citati Eps. Tant’è, per fare un esempio concreto, il summenzionato Endas, fino al 2017 tesserava solo in Umbria circa 1300 podisti, mentre gli affiliati della Fidal superavano di poco le cento unità. Oggi la situazione si è completamente ribaltata, a tutto vantaggio di chi rappresenta la mano pubblica nello sport.

Gli effetti di questo travaso sono piuttosto evidenti, a cominciare da un crescente calo sia nel numero delle manifestazioni, una volta organizzate quasi tutte sotto l’egida degli Eps, e sia in quello dei partecipanti. Tuttavia, a monte di questo ennesimo pasticcio burocratico all’italiana c’è una questione che ci differenzia da gran parte del mondo, in cui per partecipare alla gare di massa, anche le più prestigiose, come la Maratona di New York, non serve nulla rispetto a ciò che viene imposto in Italia.

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Nessuna tessera sportiva, nessun certificato medico per l’attività agonistica, nessuna copertura assicurativa e nessun lasciapassare sportivo nel caso non si appartenga al parco buoi del Coni-Fidal. È sufficiente firmare una semplice liberatoria, strumento a noi evidentemente sconosciuto, per partecipare a qualunque manifestazione al di fuori dell’Italia. Con l’unica eccezione della Francia, la quale si limita a richiedere il classico certificato di buona salute redatto dal medico di base.

Ma non è mica finita qui. Da qualche tempo anche molti organizzatori delle cosiddette corse non competitive, una volta aperte a tutti senza alcun obbligo se non quello del versamento di una modesta quota di iscrizione, hanno iniziato a richiedere l’esibizione del citato certificato di buona salute. Tutto questo perché si è scoperto che nelle linee guida del ministero dello Sport è presente da una decina d’anni, nascosto nelle pieghe di enciclopedici protocolli, questa demenziale indicazione. E non è la sola.

Infatti, tanto per citarne un’altra ancora più assurda, se ci si iscrive ad una palestra affiliata col Coni o con un ente di promozione sportiva, per una semplice attività ludico motoria, è necessario produrre il medesimo certificato di buona salute, il quale verrà custodito in copia dai responsabili della palestra. Tuttavia, se la struttura in cui si svolge la propria attività fisica non è affiliata ad alcun ente, allora tale obbligo non c’è. Evidentemente, a parere di chi ha elaborato queste norme di Pulcinella, i rischi per la salute sono differenti a seconda della natura burocratica della palestra che si frequenta.

Insomma per farla breve, anche se gli aspetti che stanno letteralmente soffocando l’attività sportiva amatoriale – uno dei principali presidi di salute secondo l’Organizzazione mondiale della sanità – non si limitano solo a quanto esposto, forse è arrivato il momento di lanciare il classico sasso nello stagno, soprattutto considerando che al governo del Paese c’è una coalizione che si richiama ai valori più autentici del liberalismo. E tra questi valori, per concludere, faccio fatica ad includere una visione che impone i citati, orrendi sbarramenti allo svolgimento dello sport amatoriale di massa.

Claudio Romiti, 6 dicembre 2023