Ci sono delle storie che non vorresti mai leggere. Quella di Carlo Antonini, bresciano malato di Sla, è una di quelle. di aver ricevuto un avviso dell’Inps che gli chiede di restituire un ammontare di pensione pari a circa 1.000 euro al mese.
La notizia, raccontata dallo stesso Antonini sui social, è legata a un evento del 2021, quando è stato ricoverato al Niguarda di Milano per una tracheotomia e ha passato due mesi in ospedale. Durante questo periodo, Valentina, la moglie di Carlo, è rimasta sempre al suo fianco per prevenire rischi di soffocamento, giacché la sua presenza è necessaria per evitare che il povero Carlo vada all’altro “nel giro di due minuti” se un po’ di muco gli ostruisce le vie respiratorie. Il Centro clinico Nemo aveva anche redatto un documento che autenticava il bisogno di assistenza continua di Antonini da parte di sua moglie. Una certificazione che, in teoria, avrebbe dovuto garantire che l’assegno di accompagnamento non fosse sospeso per il periodo di ricovero. E invece… Invece due anni dopo, l’Inps recapita una lettera a casa chiedendogli di restituire mille euro in comode rate da cinquanta euro al mese. Trattenuti dalla pensione.
Il post di Antonini
“Prima di tutto voglio precisare che non voglio niente – ha scritto Carlo sui social – ma voglio spiegare certe situazioni che un disabile deve passare, che si sente sempre parlare che i disabili bisogna aiutarli aumentagli la pensione diminuendo le tasse dagli una vita dignitosa ,sono tante belle parole, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Il resto è una dettagliata spiegazione di quanto successo. “Mi è arrivata dall’Inps una lettera” secondo cui “devo restituire 105€, e sempre l’Inps a deciso che li restituisco un po’ al mese”. Perché tutto questo? “Due anni fa sono andato al Nemo di Milano al Niguarda per fare la Tracheotomia (il tubo che ho in gola come da foto) e per qualche imprevisto sono rimasto là due mesi. Io e Valentina sapevamo che dovevamo fare una carta dal Nemo che diceva che mia moglie doveva stare vicino a me sempre” in modo da conservare l’assegno di accompagnamento. L’ospedale firma i documenti, i coniugi mandano tutto all’Inps, ogni cosa sembra concludersi per il meglio finché, due anni dopo, arriva la doccia gelata: l’Inps ha controllato di dati trasmessi dal ministero della Salute e rideterminato l’importo degli assegni “relativi ai periodi di ricovero superiori a 29 giorni per l’anno 2021 a totale carico di strutture pubbliche”. Tradotto: Carlo deve ridare mille euro all’Ente previdenziale.
Antonini non vuole sollevare polemiche. E a dire il vero appare quasi eroico in questo. Però dice quel che pensa: “È giusto che se uno che prende l’accompagnamento e va in ospedale, e il grave lavoro di assistenza della famiglia passa al ospedale, va bene per il periodo di degenza non prenda l’accompagnamento. Ma per un malato come me, che ha bisogno di una persona sempre vicino, che fa fare una carta dall’ospedale spedita all’Inps, possibile che questa carta valga solo se stai in ospedale al massimo 29 giorni?”. Anche perché la moglie Valentina ha speso”circa 850 euro per il mangiare” e l’ambulanza che “mi è stata pagata da amici che ringrazio ancora”. La burocrazia però è burocrazia: essendo rimasto in degenza per due mesi, ad Antonini l’assegno di accompagnamento non spetta. Vi pare normale?
Franco Lodige, 2 ottobre 2023