Secondo questo disegno, il prossimo quinquennio sarebbe gestito da un esecutivo “sotto la guida di Draghi”. Obiezione, vostro onore: e le elezioni del 2023? Voglio dire: abbiamo cambiato già tre governi da quando s’è votato l’ultima volta senza mai sciogliere le Camere e indire le urne. Però alla scadenza della legislatura legge vuole che si facciano le elezioni. Beh: in un Paese in cui c’è chi ipotizza, anche solo per scherzo, governi militari, anche questo diventa un problema risolvibile. Il voto basta aggirarlo. Tradotto: “Gli italiani voterebbero sì, tra un anno o due, per le politiche, ma l’effetto delle elezioni sarebbe, per così dire, fortemente mitigato”. In che modo? Scrive Mieli: basterebbe impostare una legge proporzionale, in modo che “di fatto la consultazione servirebbe solo a ridefinire le quote ministeriali dei partiti di maggioranza. Per il resto tutto resterebbe com’ è stato deciso prima del voto. Anzi, come è adesso”. Draghi potrà anche piacere. Ma che qualcuno ipotizzi soltanto di congelare la democrazia trasformando gli elettori in ratificatori stile plebiscito, beh: un po’ fa impressione.