Va bene, manca il terzo indizio per fare la prova. Però come si dice in Umbria, gli “atti non sono belli”. Cioè la situazione non volge a favore, in questo caso della democrazia. Ricordate cosa scrisse Marcello Sorgi, sulla Stampa, lo scorso luglio? Vi rinfreschiamo noi la memoria: disse che se i partiti dovessero far cadere il governo Draghi, Mattarella non avrebbe avuto altra soluzione che mettere su un governo elettorale, forse persino “militare”. Perché “a mali estremi, estremi rimedi”. Un ragionamento che, giustamente, indignò i più e costrinse l’editorialista a un mezzo passo indietro. Ma che evidentemente raccontava un’idea circolante, in questa o altre forme, nei salotti che contano della politica e dell’intellighenzia italiana.
A confermarlo ci ha pensato ieri sulle pagine del Corriere della Sera il sempre ben informato Paolo Mieli, il quale è arrivato a porsi la seconda domanda: “E se decidessimo di non votare mai più?”. Si tratta ovviamente di una provocazione, e lo si capisce leggendo il pezzo fino in fondo, ma che racconta bene quel pezzo di Italia (minoritaria, diciamo noi, ma decisamente influente) che “in modo ogni giorno più esplicito auspica un futuro post elezioni politiche con assetti più o meno simili a quello attuale”. In pratica il Belpaese dovrebbe tenersi Mario Draghi finché morte non ci separi, sostenuto da quella che è stata ormai ribattezzata come “Maggioranza Ursula”. In sostanza, il centrosinistra condito da Cinque Stelle e una spruzzatina di Forza Italia. Magari un pezzo di quel partito oggi trasformatosi in un Vietnam. Alla fine della fiera, ad essere esclusi dal governo (e chissà, Provenzano permettendo, anche dall’arco parlamentare) sarebbero Fratelli d’Italia (“i fascisti!”) e la Lega (“i populisti”), anche se col centrodestra unito rappresentano ormai la maggioranza del Paese.
Secondo questo disegno, il prossimo quinquennio sarebbe gestito da un esecutivo “sotto la guida di Draghi”. Obiezione, vostro onore: e le elezioni del 2023? Voglio dire: abbiamo cambiato già tre governi da quando s’è votato l’ultima volta senza mai sciogliere le Camere e indire le urne. Però alla scadenza della legislatura legge vuole che si facciano le elezioni. Beh: in un Paese in cui c’è chi ipotizza, anche solo per scherzo, governi militari, anche questo diventa un problema risolvibile. Il voto basta aggirarlo. Tradotto: “Gli italiani voterebbero sì, tra un anno o due, per le politiche, ma l’effetto delle elezioni sarebbe, per così dire, fortemente mitigato”. In che modo? Scrive Mieli: basterebbe impostare una legge proporzionale, in modo che “di fatto la consultazione servirebbe solo a ridefinire le quote ministeriali dei partiti di maggioranza. Per il resto tutto resterebbe com’ è stato deciso prima del voto. Anzi, come è adesso”. Draghi potrà anche piacere. Ma che qualcuno ipotizzi soltanto di congelare la democrazia trasformando gli elettori in ratificatori stile plebiscito, beh: un po’ fa impressione.