Non ci sta, Massimo Cacciari, a finire nella lista di proscrizione dei “putiniani d’Italia”, quel lungo elenco redatto da Gianni Riotta su “Repubblica” per esporre al pubblico ludibrio chiunque di discosti minimamente dall’analisi unica geopolitica dei fatti ucraini. Ti poni degli interrogativi sui limiti della Nato in questo crocevia storico? Sei al soldo di Mosca. “Lo scriva così come glielo dico: Gianni Riotta è un c…”, replica Cacciari intervistato al “Fatto”. “Si è bevuto il cervello”.
Per il filosofo quello che oggi abbonda sulle scrivanie dei giornali e delle “intelligenze” occidentali non è tanto il “pensiero unico”, che sarebbe pure una “cosa seria”, ma il “pensiero demenziale”. “Articolare un ragionamento, discernere, comprendere senza piangere né ridere – che è la regola di ogni buona filosofia – è diventato impossibile. Viviamo un’epoca di emergenza perenne, nella quale è tutto bianco o tutto nero. Provare a discernere è sempre più rischioso. In certi paesi si finisce in galera, in altri, se ci si avventura oltre l’opinione comune, ci si becca un Riotta”.
In fondo Cacciari, prima filosofo stimatissimo a sinistra, ormai è diventato una sorta di paria. Un profeta in terra straniera da quando, insieme a Giorgio Agamben, ha osato opporsi al martellante conformismo sul covid, sulle sue regole e sui suoi green pass. Ieri lo stato di emergenza, oggi la guerra: il risultato non cambia.
E pensare che riguardo Putin, Cacciari ritiene che “abbia commesso un errore strategico pazzesco”. Perché “una cosa è la Crimea o impostare una discussione in sede diplomatica sulle repubbliche indipendenti, un’altra cosa è questa tragica invasione in stile sovietico”. Un “errore colossale” che rischia di farci cadere in un conflitto mondiale e che “nasce da una debolezza personale di Putin”. Perché allora il filosofo è finito nel tritacarne con l’accusa di intelligenza col nemico?