«Cancellare Salvini», come titola Repubblica, un invito ai loro amici giudici, o magari a qualche esponente dei centri sociali, o a malati di mente – ricordiamo che Bolsonaro in campagna elettorale fu quasi «cancellato» da un esponente dell’estrema sinistra, e così pure il deputato repubblicano Steve Scalise. Cancellare Salvini, ma intanto non dargli né da mangiare né da bere. Il precetto evangelico non sia applicato nei confronti del leader della Lega, come ha fatto il gestore del bar Santa Lucia di Casalecchio in provincia di Bologna, quando oggi ha impedito a Salvini e ai suoi simpatizzanti di entrare, peraltro probabilmente commettendo un reato, visto che un bar è un locale pubblico e, diversamente dai ristorante, non può selezionare la clientela.
Ma fatti del genere sono occorsi, soprattutto nelle zone del triangolo rosso (o della morte, per i trascorsi omicidi dei partigiani) tra Bologna, Reggio Emilia e Modena. Se poi da ristoratore ospiti non Salvini ma i leghisti ferraresi e non per un comizio ma per una cena… ti può succedere di ricevere minacce di morte, oltre che insulti e inviti al boicottaggio, come successo al gestore del ristorante «Locanda della zucca» di Ferrara. Oltre ad invitare a nostra volta a boicottare il bar di Casalecchio e a recarsi invece in massa al ristorante «Locanda della zucca» (boss Porro, perdona la pubblicità occulta!) questi fatti ci spingono ad alcune breve riflessioni.
La prima è quella dell’assoluto imbarbarimento della politica. Assoluto in senso antropologico. Tu odi talmente il tuo avversario, che a questo punto non è più un avversario, è un nemico, non è più un hostis, che comunque fa parte della comunità, ma un inimicus, che deve essere spazzato via, da non consentirgli neppure di mangiare e di bere. Forse i gestori non si rendono neppure conto della violenza simbolica del loro gesto. In guerra infatti l’affamamento del nemico, vietato oggi dalle convezioni internazionali, era comunque una extrema ratio, più prossima alla guerra civile o alla guerra di religione (le due, per lunghi periodi finirono per coincidere) che alla guerra tra due eserciti legittimi e contrapposti.
La seconda considerazione riguarda l’orripilante subcultura delle cosiddette regioni rosse, che dall’Ottocento instillano, generazioni dopo generazioni, pregiudizi intrisi di violenza, risentimento, rabbia, che sono tenuti più o meno a bada per lunghi periodo ma poi, nei momenti di dissoluzione dei legami sociali, tendono a esplodere: come appunto alla fine della guerra civile del 1943-45 o, negli anni Settanta – le regioni rosse furono uno degli incubatori della leva dirigente terroristica. Solo che per decenni questa subcultura ha educato all’odio verso il «nemico di classe», il «padrone»: ma ora i padroni, o almeno ciò che possono essere considerati tali, stanno esattamente dalla parte degli «antifascisti», mentre le classi popolari, anche nelle regioni rosse, votano per Salvini.