Tutto quello che riguarda Luciano Canfora, il provocatore in fama di storico, di filologo, è comunista e come tale farsesco: crediamo si possa sostenere, visto che lui è convinto che dare del “nazista nell’animo” a qualcuno sia una faccenda perfettamente lecita e magari opportuna, come salire in montagna durante la Resistenza. Dunque, questa storia per cui un canuto provocatore apostrofa l’attuale presidente del Consiglio come epigona di Hitler, nientemeno, è farsa, che nasce da farsa e si chiude da farsa.
Già l’onusto eroe, chiamato a rispondere delle escandescenze avanti a un giudice, se le rimangia, solo, non potendo rinunciare alla noblesse oblige della spocchia pseudocolta comunista, scomoda l’Eraclito dello stesso fiume in cui non ci si può immergere due volte. Per dire: non credevo mi avrebbe querelato, oggi ci starei più attento. E farsesca è la claque, questa povera tetra gente scombinata, improbabile nei suoi gonfaloni di Cgil, Arci, Anpi, centri sociali: una scena penosa, con questi scappati di casa lì a difendere cosa? La libertà di espressione? Di Storia? Passi per i reduci Anpini, ma davvero per la Cgil la Meloni è una in fama di nazi? Sarebbe questo il civile confronto democratico? Non scherziamo, stanno dicendo, come sempre, che “uccidere” un “fascista” non è reato, ucciderlo per dire colpirlo, infamarlo con le parole, con le offese più torve.
Farsesco è che a difendere il filologo sia sì un principe del Foro pugliese, barese, ma di quel tout Bari della politica di potere e di affari, un candidato sindaco, l’avvocato Michele Laforgia, già legale di altri del presunto “sistema Emiliano” oggi nei guai. Come a dire la famiglia comunista che si riunisce, che fa quadrato, fa legione nella sua curiosa percezione del diritto, della giustizia. L’avvocato Laforgia sa il fatto suo ed è costretto – che altro potrebbe fare? – a contrabbandare un’offesa grossolana per diritto all’espressione, alla critica politica, in modo da poter gridare alla censura. Ma non prendiamoci in giro: sa benissimo, lui principe del Foro come l’ultimo dei praticanti legali, che la solfa non regge neppure per scherzo, che il Codice penale parla chiaro, che il confine è netto, sa che dare a qualcuno del peggiore elemento della dittatura più crudele e criminale della Storia in nessun modo può sostanziare un giudizio spassionato, di valore politico; quello che l’avvocato cerca di fare, è ribadire un princìpio di impunità fondato sullo status: il balordo, il barbone da bar, da curva non può ma il raffinato, insomma, filologo può dire quello che vuole e nessuno osi sindacarlo. Che è molto poco democratico, ma molto assai comunista, da nomenklatura, da plebe leninisticamente sottomessa. Ma non esiste al mondo un solo individuo, dal tout Bari alla foresta amazzonica, che, sentendosi dare del criminale da lager, del seguace di Goebbels o di Himmler, non reagisca con una querela.
Giorgia Meloni lo ha fatto in modo si potrebbe dire francescano: perché da premier non può certo passarci sopra. Giorgia Meloni è, sia detto in modo rispettoso e perfino affettuoso, una giovane donna non incanaglita, non ancora almeno, dal potere: si fa fare, dire di tutto e le sue querele, rare, appaiono patetiche. Chi vuole mettersi in mostra sa che può insultarla senza ritegno, ora un docente le dà della aguzzina hitleriana, ora un plagiatore martire la definisce bastarda tagliagole, un ex brigatista ebbe a scrivere che era rancida nell’intimo, lei e la figlia che portava in grembo. Mai assistito, mai sentito con nessun uomo di Stato di nessun Paese occidentale (altrove, dalla Russia alla Cina all’Iran a Gaz, ossia i posti di cui i democratici alla Santoro vagheggiano democrazie alternative, il problema nemmeno si pone).
Ora, se Meloni fosse una comunista nell’animo, magari da prima Repubblica (ma anche questi non scherzano, perché gira che ti rigira amore bello sono sempre la stessa roba), saprebbe come annientare il Canfora di turno: da presidente del Consiglio ha un ventaglio di poteri terrificanti che vanno dai Servizi agli scriba, a certe verifiche di polizia o di finanza, il Paese dei Balocchi del potere è perverso e inebriante e praticamente infinito. Senza voler suggerire o alludere minimamente, solo per seguire il ragionamento, anche una vecchia volpe del secolo scorso come Canfora sa perfettamente che per risolvere il problema di chi si è troppo allargato sotto prima Repubblica disponevano di un ventaglio di metodi che andavano dal cruento al morbido, per esempio assoldando la radical chic Camilla Cederna di turno per un libello diffamatorio ispirato dalla sinistra radical-comunista.
Giorgia Meloni, con le sue scarpe da ginnastica alla fiera del vino, si limita a chiedere un risarcimento simbolico, ventimila euro, bazzecole per un comunista ricco come il nostro storico e filologo. E si capisce che non vuole infierire, che si contenta di un atto simbolico. Al preludio processuale, la richiesta, arrogante, di non procedere per Canfora è stata rigettata: un po’ di spettacolo ci vuole, anche per i giornali che non possono sempre solo struggersi per Amadeus. Ma quanti dubbi possono sussistere sull’esito definitivo? Perché questa è una farsa che nasce tale e finirà tale, con la riabilitazione da parte della magistratura di un intellettuale che non sa o non vuole dosare le sue parole, che provoca per odio esibito, come tutti quelli che ci fanno una testa così sull’odio degli altri, odiare ti costa, e insomma distruggere, uccidere un fascista, a nostro insindacabile giudizio, non è reato, anzi fa diventare scrittrici di vaglia e di cassetta, come per quella autrice che, sulla strage di Acca Larentia, praticamente ha scritto: quante storie, se la sono cercata. E le daranno il premio Strega.
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Questo lo stato dell’arte; ed è la solita farsa circolare, la farsa-acquario da cui non si scappa. Giorgia Meloni a noi dispiace, e forse un poco angoscia, quando, se sono vere certe indiscrezioni, arriva a scapicollarsi per blindare Fiorello in Rai, quasi che da un intrattenitore da villaggio vacanze dipendessero i miliardi del Pnrr: ma non c’è in Italia, e probabilmente non solo, una meno “nazista nell’anima” della nostra giovane e ancora pura presidente del Consiglio.
Max Del Papa. 16 aprile 2024