L’immane dolore provocato dall’efferatezza di un delitto come quello che ha strappato la giovane Giulia Cecchettin all’affetto dei propri familiari si può soltanto provare a immaginare. Difficilmente si può riuscire a comprenderlo a fondo, calarsi nei panni del padre Gino, della sorella Elena, del fratello Davide, e coglierne i sentimenti, le emozioni, l’incolmabile vuoto causato dalla tragica scomparsa della loro amatissima Giulia. Nessuno, eccetto chi non abbia già, suo malgrado, dovuto provare sulla propria pelle un simile dramma, può affermare di possedere la capacità di potersi immedesimare in loro.
Nessuno dovrebbe mai dover vivere una tragedia come quella che da giorni stanno vivendo Gino, Elena, Davide e i familiari tutti. Indiscutibile. Ciò detto e premesso, permangono tuttavia determinate posizioni, soprattutto nel momento in cui si fa riferimento a Elena, la sorella maggiore di Giulia, con cui difficilmente ci si può trovare concordi (pur contestualizzando il momento).
L’errore di Elena Cecchettin
Tralasciamo qualsivoglia commento in merito alla sua vita privata e alle sue cotanto discusse idee politiche o religiose (saranno anche fatti suoi), e soffermiamoci piuttosto sulle frasi a più riprese pronunciate o scritte dalla 24enne. Nei suoi discorsi afferenti il barbaro assassinio che ha tolto brutalmente la vita alla sorella, Elena Cecchettin continua a puntare il dito contro il patriarcato e la cultura dello strupro, parla di ‘omicidio di Stato’, di ‘delitto di potere’, tira in ballo presunte responsabilità di tutto il genere maschile nella sua interezza, ivi compresi i suoi stessi familiari, evidentemente. Ogni uomo in quanto tale è da considerarsi complice o responsabile dell’abominevole crimine, secondo le discutibili tesi di Elena, in quanto non si adopera per smantellare quella società patriarcale che così tanto tende a privilegiarlo.
Tutti colpevoli
Opinione rispettabile la sua, per carità, ma non per questo necessariamente condivisibile. Per tutta una serie di ragioni. Innanzitutto, nell’intento di dare sfogo al suo immenso dolore, la giovane non tiene minimamente conto di quello che stanno vivendo il padre Gino, il fratello Davide, lo zio Andrea, anch’essi additati, solo perché uomini, come potenziali complici dell’assassinio di Giulia. Invero, è certamente sacrosanto rispettare il grande dolore di Elena, ma lei stessa, così facendo, non rispetta, o comunque sminuisce, il dolore dei suoi stessi parenti, colpevoli soltanto perché nati uomini. Non solo. Familiari di Giulia a parte, non si capisce francamente perché mai ogni uomo dovrebbe sentirsi responsabile di un così efferato omicidio. Esistono sicuramente uomini violenti e profondamente irrispettosi nei confronti del genere femminile, ma, comunque, generalizzare non è mai una buona abitudine, e, per di più, ridurre l’intero genere maschile a un branco di assassini e stupratori è senz’altro un esercizio mendace e fuorviante. E ancora, c’è un altro aspetto di cui probabilmente la 24enne non vuole tenere conto. Con la sue prese di posizione, Elena, sta di fatto assolvendo idealmente l’unico vero responsabile della morte della sorella. Perché, se d’improvviso tutti diventano colpevoli dell’assassinio di Giulia, allora, ecco che di colpo nessuno è più colpevole, neppure lo stesso omicida, giustificato in quanto figlio di una società patriarcale e contraddistinta da una largamente diffusa cultura dello stupro.
Così assolve Filippo Turetta
Invece no, è proprio qui che Elena sbaglia. Il responsabile della morte di Giulia Cecchettin ha un nome e un cognome: Filippo Turetta. E ridurre il suo infame gesto a una mera espressione di una società marcia e retrograda intrisa di maschilismo e patriarcato, non soltanto suona come una giustificazione bella e buona, una sorta di assoluzione morale che però l’omicida non merita, ma peggio, non rende onore né al dolore dei suoi familiari di sesso maschile, né tantomeno alla memoria della povera Giulia.
Salvatore Di Bartolo, 28 novembre 2023
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