Giorgia ci mette la faccia. Su questo non c’è dubbio. Ma la domanda che sorge spontanea è se ciò sia un merito oppure ormai purtroppo un limite. Con coraggio finora si è esposta con successo sulla scena internazionale e soprattutto nelle problematiche interne legate all’ordine pubblico: a Caivano per la criminalità organizzata, in Emilia Romagna per l’alluvione, a Cutro e a Lampedusa per l’immigrazione. E, dopo un anno di governo, tutti sono d’accordo che il premier non manca certo di leadership né che stia mai un passo indietro.
Ma proprio per questo, superato il tagliando dei dodici mesi, deve cominciare a delegare ed investire sul serio sui colleghi di governo e sugli altri apparati dello Stato, a partire da quelli della sicurezza, come l’Aise, la cui sfera di monitoraggio dovrebbe prestare ancora maggiore attenzione a quanto accade in Africa nell’area sahariana, soprattutto tra il Mali e il Senegal. L’immigrazione musulmana in Europa è un tema poco discusso da noi, costretti nell’emergenza, ma molto studiato nelle università più prestigiose del mondo già da tempo. Tajani, Crosetto e Piantedosi, i più moderati del Consiglio dei ministri, potrebbero essere, se solo Giorgia volesse, i tre tenori con cui cambiare musica nell’agitatissima questione immigrazione, trasformandola da problema sociale a opportunità.
Con l’Europa si potrebbe negoziare una sorta di trattato ad hoc per la gestione del fenomeno migratorio nel Mediterraneo, con correlati finanziamenti, come è stato fatto dopo la tragedia del Covid con il PNRR per il rilancio dell’economia, con il fondo Sure per la disoccupazione e con Repower Eu per l’energia. Obiettivo: creare dei centri di accoglienza moderni ed efficienti dove, tra l’altro – come si fa in Germania – valutare le potenzialità dei migranti in arrivo, istruirli e formarli per poi avviarli, in Italia o in giro per il Vecchio Continente, dove c’è grande bisogno di manodopera, dall’agricoltura all’edilizia. Passare dal piagnisteo al rivendicare un ruolo decisionale in un’epocale inversione di prospettiva, dando un primo segnale concreto di attuazione del piano Mattei, finora scritto solo sulla sabbia. Dall’Italia che subisce i migranti e si dilania al suo interno all’Italia che fa dell’immigrazione una leva economica europea. Con Tajani che porta le relazioni diplomatiche, Crosetto una visione imprenditoriale e “teste di cuoio” altamente specializzate, Piantedosi grande esperienza e competenze giuridiche. Anche per l’Ue sarebbe più semplice riconoscere ad un Paese membro le risorse che oggi, per esempio, stenta a sbloccare, per “difficoltà morali” per la Tunisia governata da Saied.
La storia ci insegna che più soldi diamo a governi dittatoriali più migranti arrivano in Europa e, spesso, questi disperati sono strumentalizzati come merce di scambio. Weapons of Mass Migration li definirebbero gli americani, che è il titolo del libro di Kelly M. Greenhill, docente ad Harvard, dove si sostiene la tesi: “Per indebolire uno Stato, basta stressarlo sulla sua capacità di accogliere migranti oltre misura”. Del resto, non è un segreto fra gli addetti ai lavori che il gruppo russo dei legionari Wagner, nonostante la morte del capo Evgenij Prigozhin, sia ancora operativo nell’Africa subsahariana al punto che negli uffici di intelligence, Israele in primis, ci si domanda quale sia il vero ruolo di Putin nei flussi migratori verso l’Europa.
Come indizio basta riflettere sulla recente visita del generale libico Haftar a Mosca. Poi c’è la Cina che, in Africa, ha creato un proprio modello di sviluppo. Il dubbio è che tra dittatori – russo, cinese e qualcuno africano – ci si intenda e si approfitti degli eventi. Infine, come mai la Germania si irrigidisce nei confronti dell’Italia sui temi migratori proprio ora che la sua crescita del Pil è inferiore a zero? Tra i maligni circola l’idea che pure in Italia si dia tanto spazio ai dibattiti su Lampedusa e dintorni per nascondere problemi più gravi, come appunto quelli economici. La beffa per Giorgia Meloni, mano nella mano con Joe Biden, sarebbe che la soluzione agli sbarchi venisse proprio dalla fine della guerra in Ucraina, con una vittoria di Trump. O forse la soluzione al dramma migratorio potrebbe essere, più semplicemente, parlarne di meno, come fanno gli altri Paesi europei, a partire da Spagna e Grecia che, da anni, convivono con lo stesso dramma.
Tutto dipenderà da quello che Meloni vuole veramente fare: bloccare partenze, trasformare il fenomeno dei migranti in fattore di crescita oppure mantenere lo status quo, per il quieto vivere? Ma il Premier ora deve decidere. Se vuole, continui pure a metterci la faccia, pur non essendo più necessario, perché ormai in Europa e nel mondo la conoscono e la apprezzano. Stando però attenta a non perderla.
Luigi Bisignani per Il Tempo 1° ottobre 2023