Giorgia Meloni piace a sinistra. Perché è donna? No. Perché è sanguigna? Nemmeno. Perché è di destra? Ci mancherebbe. Piace perché si può tentare di usarla per metter zizzania: di qui, mesi di sondaggi incoraggianti, lusinghe, corteggiamenti. Lo scopo è fare leva sulle legittime aspirazioni di crescita e leadership della numero uno di Fratelli d’Italia, per rompere l’intesa con la Lega. È una strategia vecchia come il mondo, che gli antichi Romani sintetizzarono con una formuletta eloquente: divide et impera.
L’ultimo capitolo della saga l’ha scritto oggi Repubblica. Il giornale, addirittura, apre con il doppio affondo sul centrodestra: da un lato, Matteo Salvini che celebra il funerale al Carroccio nordista di Umberto Bossi. Già, perché la Lega che gradiscono a Repubblica è la Lega che perde: perciò in via Cristoforo Colombo rimpiangono persino il Senatùr, quello cui gli intellò guardavano con sgomento, quando si presentava, sudato, in canottiera, o vantava la propria virilità politica. Tant’è che coniarono la definizione di «celodurismo», con un misto di disprezzo e curiosità antropologica, per descrivere quel movimento di bifolchi nordisti che usavano un linguaggio da trivio.
Ma dall’altro lato, il quotidiano del gruppo Gedi strizza l’occhio alla «base padana in cerca di altri leader». Chi, precisamente? Ma è ovvio: Giorgia Meloni, che «strappa sempre più consensi» e, come spiega Ilvo Diamanti, «un anno fa aveva il 6,5%», ora invece «oltre il 16». Soprattutto, quel che esalta questi adulatori affatto disinteressati, è che «un elettore della Lega su 5» voterebbe FdI. Con una ciliegina sulla torta, che rende la combattiva leader davvero irresistibile: la Meloni interpreta «una destra “di opposizione”. Non di “governo”». Cosa vuoi di più dalla vita? Hai un partito che erode il consenso di Salvini ma che consideri privo delle doti e della cultura politica necessarie a prendere in mano il Paese. Se non riesci a segnare nella porta dell’avversario, non ti resta che sperare che l’avversario faccia autogol.
A onor del vero, bisogna dire che in parallelo, la Meloni, intervistata da Libero, ha dato prova di essere perfettamente consapevole del giochino e di non avere alcuna intenzione di lasciarsi irretire. Non è scontato: per chi ha vissuto nel «ghetto» della politica, la prospettiva di essere accolto nei salotti buoni spesso si rivela irresistibile. Ne sa qualcosa Gianfranco Fini, che infatti lei liquida come «l’unico a cascarci». Giorgia, insomma, conosce il «tipico trappolone della sinistra», la quale «prova in tutti i modi a farci litigare». E ribadisce che il vero nemico di Fdi non è il Carroccio, bensì M5s e Pd. Anzi, la Meloni è conscia che chi oggi le liscia il pelo, sarebbe pronto a mollarla appena raggiunto l’obiettivo, magari facendola fuori, coma da tradizione italiana, con l’aiuto delle toghe.
Nondimeno, i retroscenisti descrivono un’atmosfera ben più tesa a destra: tra la Meloni e Salvini non correrebbe affatto buon sangue. C’è chi parla di dispettucci quasi infantili, come non rispondersi al telefono, o addirittura di giudizi pesanti, che sfuggono in contesti riservatissimi. Ai fini politici, non conta che i due si amino e forse neppure che si rispettino.
Conta che siano in grado di mettersi d’accordo, tenendo a bada le innumerevoli frizioni: oggi il numero due della Lega, Lorenzo Fontana, lamentava l’ostruzionismo sull’autonomia, ma sui territori, specie a ridosso delle amministrative, liti e divisioni si sono moltiplicate. E con Forza Italia che gioca una partita ambigua, con la partita del Recovery fund che minaccia di chiudere gli spazi di manovra a chiunque non sia allineato ai diktat di Bruxelles, uno sfilacciamento dei sovranisti non è un bel biglietto da visita. È una circostanza che suscita, almeno, un interrogativo: la destra ha davvero pronta l’alternativa al pastrocchio giallorosso?
Alessandro Rico, 3 agosto 2020