Proprio su queste pagine spesso ho attaccato i libri le iniziative i pensieri di Michela Murgia. Mi dava del fascista e io ero pronto al dialogo… al diavolo… a dirle che dire la sua lotta femminista era più inutile, era per avere le passerelle emotive che non poteva avere. Ho attaccato il sistema che ha fatto sì che Accabbadora o come si chiama il suo romanzo stranamente su Wikipedia – enciclopedia del sapere universale sinistrato – a quella voce mettesse prima il suo romanzo che il significato.
Anche a sinistra c’è un sistema periodico che è peggio degli scacchi delle partite truccate che ormai si vedono solo nelle partite date in replica su Iris di Kojac. L’ho sempre attaccata. Cercando di far capire che attaccavo i suoi libri, le sue teorie, non lei. Anche quando l’ho fatto. Non sono un uomo o intellettuale tenero. Ieri leggendo la bacheca di Loredana Lipperini che rimandava al link del Corriere della sera – dove Michela scusa se ti chiamo così – ha rivelato di essere ormai al termine della sua malattia. Il cancro.
Non ho avuto nessun moto di pietà, anzi di pietas. Non ho avuto nessuna reazione in questo mondo maledetto dove la cultura se fosse per me non avrebbe colore. Invece l’ha. Michela Murgia è stata la prima ad attaccare questo sistema “fascista” squadrista. Io non sapevo nulla della sua malattia che si sapeva, non si sapeva non lo so. Non mi interessa. Io so solo che ho pianto. Ho pianto come un bimbo. Come un bambino. Come un essere (in)difeso. L’ho attaccata tante volte e lo rifarei. Ma non così. Perché so con il mio corpo, con la mia anima, con le mie difese spesso ormai a zero, che solo un vero artista vive e difende corpo a corpo l’inchiostro che diventa pagina.
Gian Paolo Serino, 7 maggio 2023