Sport

Cara Nazionale femminile: se hai fatto schifo non è colpa degli altri

Milena Berlolini nazionale femminile

Il neoconformismo perbenista di stampo woke ci ha imposto i vaccini, i cambiamenti climatici e le “azzurre” di calcio. Anche se non sono granché, se si fanno buttar subito da un Mondiale contro il Sudafrica? Anche, anzi soprattutto. Bisogna entusiasmarsi, tifare, fingere che la Nazionale rosa sia come quella azzurra, stesso impatto, stessa importanza, bisogna drogare gli ascolti in televisione e non dire mai l’unica verità e cioè che di queste non interessa niente a nessuno a partire dal mercato televisivo e pubblicitario che reagisce con gli ascolti. Ma se teniamo conto del mercato e della sostanza delle cose, che neocomunisti woke siamo?

Azzurre sconfitte dal Sudafrica: il comunicato

Poi perdono, malamente, e si comportano davvero all’italiana, ma in un modo che gli stessi colleghi maschietti si sognano: un turbine di veleni, di veline, di rivendicazioni, di messaggi allusivi, il comunicato da dare ai giornali che è di una arroganza passivo-aggressiva insopportabile, nel solito slang sul vacuo tecnologico che usa oggi, una melassa di modi di dire, di parole insulse e scontate che sanno di surgelato, sanno di plastica: “Noi ragazze ci abbiamo messo la faccia, sempre. Noi lavoreremo ancora più duro per migliorarci a livello internazionale (sic!), noi non abbiamo mai avuto paura”. E di cosa dovevano temere? Delle avversarie, nere e minacciose? Ma queste formulette sono pretestuose, un velo per coprire l’obiettivo reale che è il solito, puntare il dito, scaricare le responsabilità: “Siamo convinte che avremmo potuto ottenere risultati diversi se solo fossimo state messe nelle condizioni di poterlo fare”. Tormentato, arzigogolato, almeno i congiuntivi sono al posto giusto, ma con chi ce l’hanno?

Le polemiche su Milena Bertolini

Ce l’hanno con l’allenatrice ovviamente, senza nominarla ovviamente, ma lo fanno sapere all’universo mondo. La sostanza di questo comunicato a metà tra l’aziendalistico, il manageriale, il sindacale sembra la seguente: noi siamo campionesse e nessuno lo può discutere, se ai Mondiali non funzioniamo è colpa di chi ci guida, colpa dell’allenatore. Anzi dell’allenatrice. L’allenatrice o allenatora Milena Bertolini da Correggio in effetti non è simpatica, così ossuta, aspra, è abbastanza respingente come anche le calciatrici: ecco, forse tra i motivi di scarso interesse, checché poi se ne scriva, verso la nostra meravigliosa Nazionale azzurra ma rosa, ci sta quell’aria condivisa di supponenza, quell’aggressività che maschera l’insicurezza. Un po’ da sfigate, se fosse ancora lecito dirlo. Quel prendersi sul serio che manco al Mundial ‘82, dove però gli italiani, che per tutto il primo girone avevano stentato in modo penoso, mai si erano sognati di criticare il vecio Bearzot. Anzi era la classica famiglia da uno per tutti, che cementata in anni aveva consentito di superare squadre assai più forti come il Brasile, l’Argentina. Queste no. Preoccupate degli affari, dei premi partita, degli sponsor, già pronte alle manovre di palazzo, a pretendere, a raccomandare qualche allenatora più gradita o consona agli affari, vengono cancellate da una rappresentativa mediocre come il Sudafrica e subito fanno quadrato contro la mister, la mistress, fate vobis, ma il solito spettacolino mediocre e meschino, all’italiana.

L’errore della Nazionale femminile

Chi lo sa cosa pretendevano. Chi lo sa se si erano montate la testa. O se, magari, la Bertolini era davvero una cerbera, tipo quelle della ginnastica che danno delle culone a degli scriccioli di 30 chili e scoppia il melodramma. Forse le nostre campionesse che non vincono un torneo dovrebbero scoprire l’ironia, la capacità di non prendersi sul serio del paròn Nereo Rocco che costruiva il suo Milan stellare partendo da un campionissimo, Rivera, e mettendogli intorno una squadra di bravi e di così e così. “Ciò muli. Romeo sta’ indrio, che perdemo un milion! Andè in mona, teste de gran casso”. E lo adoravano.

Pochi schemi, molta umanità per tutti. Si dirà tempi diversi, situazioni oggi improponibili, ma improponibili perché poi? I troppi soldi, il mercato delle visioni, il servilismo mediatico hanno trasformato questi atleti in divi o divinità dell’Olimpo, tutto un percepirsi infallibili, un reagire piccati, rigidi come la Giustizia offesa, senza mai accettare la propria inferiorità o la superiorità dell’avversario che sarebbe la prima regola dello sport, sempre a scantonare e accusare nel pantano verbale da ranocchi, “siamo concentrati, possiamo fare meglio, siamo i migliori ma non eravamo motivati, qualcuno ci ha remato contro, comunque buon lavoro a tutti”.

La mistica del lavoro, del buon lavoro tutti ad augurarsi, ad apparire, a trovare scuse e capri espiatori, a tessere trame di Palazzo, a vergare, loro o chi per loro, letterine liofilizzate, comunicati penosi per non ammettere di non saper perdere. “Ma come, siamo così brave, siamo le migliori, e poi non vinciamo mai?”. Farsela, alle volte, una domanda. Certo, all’oratorio si vince sempre, una volta per uno, ma il problema è proprio quello, uscire dall’oratorio, misurarsi col mondo: allora scattano le ripicche, le rivendicazioni, lo scaricabarile sull’allenatora. Quando sarebbe stato così semplice, bastava dare la colpa ai cambiamenti climatici. Dite che no, non si poteva, che in campo c’erano anche le altre? Che c’entra, quelle sono africane, sono “negre”, sono abituate.

Max del Papa, 5 agosto 2023