Nell’epoca della globalizzazione e di limitazione della sovranità statale in favore dell’Unione europea, anche il pensiero politico della sinistra è cambiato. In particolare, è difficile non comprendere il grande paradosso in cui è incorsa l’attuale sinistra, in particolare della Schlein, che rappresenta, forse, il più grande paradigma della postmodernità, avendo sostituito i vecchi valori della lotta di classe al pensiero woke e al politicamente corretto.
È quanto afferma Giovanni Sallusti nel suo ultimo libro Mi mancano i vecchi comunisti. Confessione inaudita di un libertario, pubblicato da Liberilibri nel gennaio scorso. Si tratta di un saggio molto interessante – corroborato da una bibliografia ragionata –, una vera e propria confessione dell’autore, oltre che una provocazione, per il fatto di essere nostalgico di un nemico, il vecchio comunista, “di fronte al ‘paradiso’ woke”. In particolare, Sallusti intende sottolineare la totale estraneità dell’attuale sinistra al pensiero politico tradizionale del Partito comunista, che affonda le proprie radici nel marxismo ottocentesco, longa manus della sinistra hegeliana.
Infatti, vi è da notare come il “totalitarismo woke” – così lo definisce Sallusti – della sinistra del XXI secolo esalta i temi dell’inclusione, della transizione ecologica e della fluidità di genere, argomenti che sono assolutamente in contrasto con il pensiero dei “vecchi comunisti”. Invero, tra i vari obiettivi della nuova sinistra vi sono, innanzitutto, le cosiddette “emissioni zero”, cui ambisce l’Unione europea; poi, vi è la cosiddetta “utopia diversitaria”, che va a sostituirsi a quella egualitaria del Manifesto del Partito Comunista di Marx e di Engels.
Come afferma Giovanni Sallusti, per questi “nipotini degeneri” di Marx, l’origine di tutti i mali attuali è proprio l’uomo bianco occidentale che altro non è che il carnefice degli immigrati, della comunità Lgbtq e degli oppressi dal clima. Pertanto, costui va combattuto. Sallusti spiega questo fenomeno facendo spesso ricorso alla filosofia, ricordando come Marx non ha mai smesso di essere hegeliano, e ciò lo si ritrova perfettamente nelle opere del filosofo tedesco. Infatti, il pensiero marxista è imbevuto di hegelismo e lo sviluppo del pensiero occidentale non è altro che il frutto di un confronto – direi, anche, scontro – dialettico di parti contrapposte. Attività di cui non si può fare, sicuramente, a meno per un corretto sviluppo del pensiero intellettuale.
Per Marx, il comunismo è la parte più alta dello Spirito che si realizza concretamente e materialisticamente, la manifestazione conclusiva e più importante della logica hegeliana nella vita reale. E il nostro Autore tiene ben presente, nel suo saggio, la Fenomenologia dello Spirito di Hegel. A ben vedere, purtroppo, per la nuova sinistra il punto di riferimento non è più il pensiero di Hegel, ma quello di Serge Latouche, con il suo mito della decrescita felice e la lotta contro l’occidentalizzazione.
Nei tre capitoli in cui si compone l’opera, Sallusti evidenzia come la Rivoluzione industriale sia stata perfettamente condivisa dai vecchi comunisti, poiché si è trattato di un fenomeno che ha avuto impatti positivi nella realtà socio-economica e produttiva della società (capitolo I); inoltre, questi ben conoscevano e accettavano l’autonomia della politica (capitolo II), sia come oggetto di studio che come dettaglio meramente tecnico. Per questo motivo il nostro autore sottolinea la sua nostalgia verso il realismo politico, evidenziando come il pensiero della sinistra, da Togliatti a Schlein, passando per Berlinguer e D’Alema, sia degenerato.
Infine, Sallusti ricorda che i vecchi comunisti riconoscevano l’esistenza e l’eccezionalità dell’Occidente e del suo pensiero, che ritenevano essere l’apogeo dello Spirito hegeliano, per definirla secondo il pensiero filosofico di Marx (capitolo III). Quindi non erano “oicofobi”, non volevano cancellare la cultura occidentale ed erano contrari alla cancel culture, come testimonia anche il pensiero di Lukacs, sia dal punto di vista filosofico (proponendo una riformulazione della dialettica hegeliana) che letterario (esaltando “autori conservatori, cattolici, fin reazionari, in ogni caso ideologicamente lontanissimi da lui”, quali Balzac, Walter Scott, Manzoni, Tolstoj, Dostoevskij, ed anche Thomas Mann). E Lukacs non era propriamente un conservatore.
Inoltre, l’oicofobia – termine coniato dal filosofo Roger Scruton nel 2004, che indica la paura ed il rifiuto della propria civiltà – è tipica di questa sinistra contemporanea, e l’Unione europea, con le sue politiche green, non fa altro che caldeggiare l’adesione al pensiero unico e al politicamente corretto, tentando di far venir meno quel procedimento tipico della dialettica hegeliana, dal cui scontro si è sviluppata la civiltà occidentale contemporanea.
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A tal proposito, è opportuno evidenziare come Carl Schmitt, filosofo e giurista tedesco del XX secolo, ritiene – in una sua bellissima opera, il Nomos della Terra – che l’essenza della politica sia proprio il conflitto, cioè la contrapposizione tra amico e nemico, cosa che la nuova sinistra, aiutata anche dalle politiche attuali dell’Unione europea, vuole superare, tendando di imporre il consenso attraverso la propria egemonia culturale. Ma una società civile, si sa, vive solamente attraverso il confronto competitivo tra visioni diverse. Ecco perché mancano i vecchi comunisti, e non solo a Giovanni Sallusti.
Giovanni Terrano, Il Roma 16 ottobre 2024
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