Cara sinistra, la riforma Nordio la chiedeva Falcone

Il magistrato in tempi non sospetti: “Il pm non deve avere nessun tipo di parentela con il giudice”

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Nordio Falcone giustizia

Più che riforma della giustizia, quella del ministro Nordio è una riforma dell’ordine giudiziario per via costituzionale. L’Associazione Nazionale Magistrati è già sulle barricate, ma crediamo che le continue bocciature dei giudici ad ogni tentativo di riforma della magistratura siano meramente strumentali. Lo scopo dei togati è infatti quello di auto-proteggere il più possibile la loro posizione di intromissione nella vita democratica del Paese. Vediamo in breve cosa prevede il ddl di revisione costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri il 29 maggio.

In primis v’è la separazione delle carriere. Infatti, l’art. 104 Cost. verrebbe così modificato: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”. Apriti cielo! L’ANM ha subito parlato di attacco politico all’indipendenza della magistratura. Falso! La nostra Costituzione prevede infatti, con la revisione costituzionale del 1999, che il processo penale si svolga secondo l’impianto del processo accusatorio, che in parole povere vuol dire che accusa e difesa sono posti sullo stesso piano e l’imputato è giudicato, oltre che in un procedimento in cui vi sia contraddittorio tra le parti, da un giudice terzo e imparziale.

Se il magistrato che giudica, cioè quello appartenente alla magistratura giudicante, deve essere terzo e imparziale, non si capisce come possa appartenere allo stesso ordine giudiziario del magistrato che indaga (requirente), visto che quest’ultimo è posto peraltro sullo stesso piano della difesa. Inoltre, c’è da dire che il processo accusatorio è già una realtà ultratrentennale; infatti, il nuovo codice di procedura penale risale al 1988 (entrato in vigore l’anno successivo). Beninteso, il nostro è un processo accusatorio ancora incompiuto, tanto è vero che la riforma Nordio cerca di completare il lungo percorso iniziato alla fine degli anni ’80.

A separare le carriere ci aveva pensato in un primo momento anche l’ex ministro Cartabia (governo Draghi), ma dovette ripiegare – anche per la presenza di M5s e Pd nel governo – su norme che attualmente limitano il passaggio dalla magistratura requirente a quella giudicante e viceversa in modo più incisivo rispetto alla precedente formulazione. Oggi, infatti, è possibile mutare funzione nei soli primi nove anni di inizio carriera, anche se sono possibili cambi di funzione pure più avanti nel tempo, ma con delle limitazioni. Un esempio: se sei stato requirente per più di nove anni, puoi passare a fare il giudicante solo nel settore civile (detta brutalmente). Insomma, qualcosa in questi anni si è fatto.

Il centrodestra si è spinto oltre, a tal punto da avviare l’iter di revisione costituzionale prevedendo non solo la separazione delle carriere ma anche due Csm, uno per la magistratura giudicante e l’altro per la magistratura requirente. Una norma logica perché, con ordini nettamente separati, non può esserci un unico organo di autonomia e autoregolamentazione della magistratura.

I nuovi Csm saranno composti da 33 membri: 3 di diritto (Presidente della Repubblica, il primo presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore Generale della Cassazione), 20 togati e 10 laici. Togati e laici dovranno essere scelti per sorteggio e non più per elezione. Una soluzione innovativa che finirà per smantellare il correntismo che tanto male ha fatto alla giustizia italiana negli ultimi trenta e passa anni.

Novità rilevante è anche quella dell’introduzione di un’Alta Corte composta da 15 magistrati (3 nominati dal Capo dello Stato, 3 estratti a sorte da un elenco redatto dal Parlamento in seduta comune, 6 magistrati giudicanti e 3 requirenti estratti a sorte nelle rispettive categorie) competente per i procedimenti disciplinari. Una innovazione che scardina la cosiddetta “giustizia domestica”, infatti i giudici che sbagliano, come risaputo, vengono da sempre giudicati dalla sezione disciplinare del Csm, con sentenze quasi sempre di assoluzione o di condanna a misure disciplinari irrisorie. L’introduzione di un’Alta Corte garantisce sicuramente giudizi meno auto-assolutori.

In questi giorni la sinistra è partita all’attacco, utilizzando come sempre i propri intellettuali salariati che denunciano un attacco all’indipendenza e all’autonomia della magistratura. Peccato che questi dimentichino le parole di Giovanni Falcone, da sempre strumentalmente utilizzato dal centrosinistra a proprio uso e consumo. Il grande magistrato palermitano nel 1991 disse infatti in una celebre intervista a Repubblica che “il Pubblico Ministero non deve avere nessun tipo di parentela con il giudice e non deve essere, come invece oggi è, una specie di paragiudice. Chi, con me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del Magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il P.M. sotto il controllo dell’esecutivo”. Parole che costarono a Falcone l’inimicizia di gran parte dei suoi colleghi, salvo poi – quegli stessi colleghi – osannarlo dopo la morte e utilizzarlo come bandiera di lotta politica contro il centrodestra.

Ciò che ci lascia perplessi è invece il buon esito conclusivo della riforma. Si tratta infatti di un ddl di revisione costituzionale, pertanto deve seguire l’iter previsto dall’art. 138 della Costituzione: passaggi in commissione e poi in aula, prima deliberazione delle Camere a maggioranza dei presenti, poi tre mesi di stop e seconda deliberazione quantomeno a maggioranza dei componenti di entrambe le Camere. E poiché non si raggiungerà la maggioranza dei 2/3 dei componenti in entrambe le Camere in seconda deliberazione, sicuramente ci sarà il referendum confermativo. Non osiamo immaginare la macchina da guerra propagandistica che metteranno in piedi ANM e centrosinistra. Insomma, Nordio ha dato le carte, ma non vorremmo che i giudici abbiano in mano i soliti quattro assi.

Paolo Becchi e Giuseppe Palma, 1° giugno 2024

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