Biblioteca liberale

Il carattere della libertà (a cura di Serena Sileoni)

Albert Jay Nock e il mestiere del vero profeta

L’apertura di un bel libretto di saggi in onore di Aldo Canovari, editore di Liberi Libri, titolato Il carattere della libertà, ci consegna una perla di Albert Jay Nock.

Si tratta di un orgoglioso autodidatta, anarco-libertario americano, uno dei pochi a criticare il New Deal in una prospettiva di mercato, l’autore di Il nostro Nemico, lo Stato. La perla di cui parliamo è titolata Il mestiere di Isaia ed è un articolo del 1936 pubblicato sull’Atlantic Monthly. La tesi è molto semplice, quanto intrigante.

Il compito del profeta non è quello di parlare alle masse, che non lo capiranno, ma di rivolgersi a coloro che fanno parte del «Residuo»: i quali «debbono essere incoraggiati e preparati a ripartire perché quando tutto sarà andato in rovina saranno loro che torneranno e costruiranno una nuova società».

A parte i toni che possono apparire millenaristici, l’idea di Nock è che l’«uomo massificato» sia una perdita di tempo, si tratti di un «uomo eminente o di un perfetto sconosciuto, di un ricco o di un miserabile, di un principe o di un povero». Come per i cretini di Cipolla, l’uomo massificato non ha censo e origine. Il «Residuo», l’unico a cui il profeta, il moderno intellettuale o meglio un liberale, si deve rivolgere è altrettanto trasversale, ma è una minoranza, non è possibile contarla e soprattutto sarà lei a cercare il profeta: è dunque inutile affrettarsi a scovarla.

Dalla rivoluzione francese in poi, Nock osserva, «l’importanza mostruosamente gonfiata delle masse ha apparentemente estromesso dalla testa del profeta moderno persino il pensiero di doversi rivolgere al Residuo». Nota con un filo di sarcasmo il Nostro: «Se un profeta non avesse bisogno di far soldi o di conquistare notorietà potremmo dire che predicare al Residuo sia un bel mestiere». Ma così evidentemente non è. È la storia degli architetti di Ayn Rand in The Fountainhead (La fonte meravigliosa) o dell’isola delle invenzioni di Atlas Shrugged.

Insomma, in quei primi decenni del ‘900 americano fu fortissima la tendenza di alcuni intellettuali newyorkesi a ribellarsi al pensiero unico e collettivista di gran moda all’epoca. Ci piacciono e pensiamo che oggi su accoglienza, integrazione, ambiente (per citare soltanto alcuni dei temi più digeriti dalle masse) sarebbe interessante avere un pensiero liberale rivolto al «Residuo».

Colui che ieri sapeva benissimo che il collettivismo era destinato a fallire e che oggi sa che il mito dell’accoglienza o dell’ambientalismo sono solo fantocci per imbambolare una massa con il pensiero critico.

Nicola Porro, Il Giornale 5 giugno 2016