Direttiva green sulle case? Divieto di apertura delle centrali a carbone? Stop alla vendita di auto diesel e benzina a partire dal 2035? Macché, nel continente asiatico si continua a produrre (ed inquinare) come se non ci fosse un domani. Ed i vertici di Bruxelles rimangono imperterriti nel ritenere sempre più che la responsabilità dei cambiamenti climatici trovi la propria causa in Europa.
Ma andiamo a vedere qualche dato, quelli che molti fondamentalisti green cercano appositamente di omettere, e vediamo come la realtà sia ben diversa rispetto a quella tanto propinata dei leader ambientalisti. Prendiamo una delle grandi battaglie su cui si sono scagliati i verdi italiani e non: il carbone.
Ebbene, secondo il report redatto dall’International Energy Agency, nel 2019, la Cina è stata responsabile del 50 per cento della produzione di carbone a livello mondiale, con quasi 4.000 milioni di tonnellate. Segue poi l’India con una fetta pari al 10 per cento a livello globale (760 Mt). Ed infine l’Indonesia (7 per cento). Ciò vuol dire che tre Stati asiatici costituiscono quasi il 70 per cento della produzione mondiale di carbone.
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Un dato reso ancor più lampante se rapportato a quelli dell’anno scorso, dove addirittura la produzione globale di carbone ha visto un incremento dello 0,4 per cento e questo, secondo Bloomberg, si rileva soprattutto dalle azioni – guarda caso – di Cina ed India. Mentre il Vecchio Continente, insieme agli Stati Uniti, è riuscito a diminuire la propria produzione dal 2021, ecco che a Pechino e Nuova Deli si è visto un vertiginoso incremento che seguirà fino alla fine del 2023. A ciò, si aggiunge pure il fatto che il regime di Xi Jinping rappresenta il più grande produttore di anidride carbonica a livello globale.
Insomma, qual è il concetto fondamentale? I vertici di Bruxelles si ostinano a cercare l’ago nel pagliaio (si conti che il più grande produttore europeo di carbone è la Germania, pari solo all’1 per cento della produzione mondiale), senza però vedere il clamoroso elefante ingombrante nella stanza, rappresentato appunto da Cina ed India. Il tutto, ovviamente, andrà a ripercuotersi non solo sotto il profilo geopolitico, ma soprattutto sotto quello economico-produttivo, dove sempre più lavoratori dovranno fare i conti con quelle che solo le follie ecologiste alla Timmermans. Si salvi chi può.