Occorre rovesciare la frase iconica di John F. Kennedy: “Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te: chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. Per l’Italia del 2021, funziona meglio così: “Non chiederti cosa lo Stato può fare per te: chiediti cosa ti ha già fatto”.
Provocazione da liberale classico con tendenze libertarian? Può darsi. Ma è venuto il momento, per evitare di accettare anche psicologicamente la posizione di sudditi, di ricompitare alcuni principi di fondo, che sembrano purtroppo dimenticati da moltissimi.
Primo: se siamo chiamati ad alcune prestazioni (in primo luogo, le tasse), non dovrebbe trattarsi di un castigo divino, ma – appunto – solo della prestazione compiuta dal cittadino-contribuente a fronte della quale avrebbe diritto a ricevere ben precise controprestazioni. E però, se questa controprestazione non c’è o avviene con modalità del tutto insoddisfacenti (si pensi all’andamento a rilento della campagna vaccinale), come si giustifica tutto il resto?
Perché stiamo accettando con tanta “normalità” l’idea di essere segregati in casa, impediti in ogni genere di contatto, bloccati nelle attività lavorative, per un tempo indefinito e sulla base di valutazioni politiche del tutto discrezionali? Non solo: non ci è nemmeno consentito di perseguire la via “privata” alla vaccinazione. È la mano pubblica che (a velocità istantanea) ci rinchiude, e (con lentezza esasperante) ci somministrerà il vaccino. Nel frattempo, se ce l’hai, non puoi nemmeno recarti nella tua seconda casa: per la quale tuttavia devi pagare i tributi di sempre…
E qui si apre la seconda questione: è perdente limitarsi a verificare che la procedura normativa attraverso cui un certo obbligo (fiscale o di altro tipo) viene introdotto sia stata formalmente corretta.