“A meglia parola è chella ca nun se dice”, insegnano a Napoli, oggi in gran fermento per lo scudetto. Nel 1994, l’esuberante Silvio Berlusconi regalò ai suoi azzurri il “kit del candidato”, oggi, Meloni, dovrebbe organizzare per i suoi ministri e dirigenti un corso accelerato di buona condotta politica. Magari includendo un bigino di diritto parlamentare ai deputati e senatori della maggioranza per evitare di ritrovarsi con un Def bocciato in aula mentre lei è a Downing Street. “Mi sono spesso pentito di aver parlato, mai di aver taciuto” diceva saggiamente Seneca. E ci sono parole che oggi, da Meloni in giù, giuste o sbagliate che siano, nessuno in Fratelli d’Italia può permettersi di pronunciare per non prestare il fianco a strumentalizzazioni di parte o, anche, solo a banali fraintendimenti.
Ecco perché uno come il ministro Lollobrigida non dovrebbe parlare di razza né il presidente del Senato, La Russa, sproloquiare su Via Rasella se non vogliono ritrovarsi, entrambi, a subire serrati controlli doping sul rispettivo antifascismo facendo così arrossire i camerati di un tempo e godere i vecchi arnesi di sinistra. Per non mettere ancora in imbarazzo – e far imbestialire – la loro leader, si può provare a pensare quali sono, in questo momento storico, le parole tabù per i Fratelli al potere, un po’ come per gli americani la temutissima “N-word”. Eccone alcune: Ventennio, razza, fascismo, nazismo, resistenza, corporazione, restaurare, nemico, etnia, etnico, fisico, rissa, pena di morte, ebreo/a, ebraico, sionismo, plutocrazia, giovinezza, impero, nero/a, supremazia, germanico, slavo, romano, repressione, mai più, spezzare, rinchiudere, picchiatore, bastonare, manganello.
Per restare al Governo, conviene dunque mettere a freno la lingua. A meno che questa non sia tutta una strategia calcolata di Meloni per tenere buoni i suoi e, allo stesso tempo, istigare esternazioni affrettate ad hoc per scatenare polemiche e distrarre da questioni più serie. Ma, oltre alle parole, ci sono anche temi dai quali questa maggioranza sarebbe bene che si tenesse alla larga il più possibile: diritti civili, maternità surrogata et similia. Oramai, qualunque affermazione viene interpretata con pregiudizio. E questo succede non solo se l’argomento è il fascismo, la famiglia o l’omosessualità, ma anche se riguarda materie meno ideologiche e più concrete come lo stadio di Firenze, che previsto all’interno nel Pnrr da Mario Draghi andava bene a tutti incluso all’Europa, mentre adesso i medesimi soggetti ne prendono addirittura le distanze!
E quando proprio non si riesce ad evitare di parlare di fascismo, allora Giorgia potrebbe inserire nel vademecum delle sue giovani marmotte d’Italia il “manifesto degli intellettuali”, che dimostra come, cancellando quel periodo, si cancellerebbe anche un pezzo importante della cultura italiana, da Ungaretti a Treccani, storico fondatore dell’enciclopedia diventata “status symbol”.
Tra i 250 protagonisti del documento, insieme ai già citati Ungaretti e Treccani, Pirandello, Longanesi, lo stesso Spadolini e Bartali tra gli sportivi. In rappresentanza del mondo dello spettacolo Aldo Fabrizi, Walter Chiari, Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni e Wanda Osiris, di quello della pittura i grandi Maestri Boccioni, Sironi e Balla, per finire con i molti scienziati che oggi sono diventati un simbolo del “Made in Italy” nel mondo, come Guglielmo Marconi.
Allo stesso modo, andrebbe ricordato che l’Italia non sarebbe quella di oggi se, con l’accetta della “cancel culture”, non ci fossero l’Inps e il Cnr oppure se non si fosse fatta largo l’idea di uno sviluppo del mezzo aereo, sia come aviazione militare sia per il trasporto passeggeri. O, ancora peggio, se alcune iniziative non avessero visto neppure la luce, come l’Opera nazionale maternità e infanzia, i Patronati scolastici, i Patti Lateranensi, la Bonifica Integrale, la riforma scolastica e la tutela per le lavoratrici madri.
Non è solo una questione politica o di comunicazione, lo dicono anche gli psicologi: il rischio più grande dell’underdog che supera le aspettative è che non riesca a superare anche le sue paure, chiudendosi così in sé stesso o fra pochi intimi per il terrore di ritornare ad essere, da un momento all’altro, lo svantaggiato di prima. D’altra parte, il rischio è anche quello di volere a tutti i costi restare arroccati sulle proprie posizioni, persino quelle più estreme o incomprensibili, perché – finalmente! – si ha il potere di farlo. Sebbene Giorgia è già oltre tutto questo, i suoi uomini, invece, devono ancora fare il grande salto. Tocca a lei accompagnarli, conducendoli per mano: la sua forza politica si misurerà anche da qui.
Luigi Bisignani, Il Tempo 30 aprile 2023