Edward Bunker, nella sua autobiografia Educazione di una canaglia, racconta il terrore provato quando, a soli diciassette anni, entrò per la prima volta in un carcere per adulti. Sapeva che la sua sopravvivenza sarebbe dipesa da due fattori: essere forte o essere ritenuto pazzo. Bunker racconta di essere stato un diciassettenne troppo esile per intimorire qualcuno. Pertanto, il primo giorno, nella mensa, individuò il detenuto più grosso e minaccioso e, senza alcun motivo, gli fracassò a sorpresa la testa con un vassoio metallico. Da quel momento, tutti iniziarono a temerlo e riuscì a sopravvivere a quattordici anni nel durissimo carcere di San Quintino.
Al netto di tanti dotti discorsi, la realtà geopolitica mondiale non si discosta molto da quel carcere californiano: il rispetto si ottiene con la forza o con l’incoscienza bellica. Nessuno, per esempio, considera l’esercito nordcoreano un colosso militare – e lo ha dimostrato nei fatti in Ucraina – ma tutti ritengono che il suo leader non esiterebbe a premere il bottone atomico. Questa percezione lo rende temibile e lo protegge, al di là delle effettive capacità belliche della Corea del Nord. È il principio della deterrenza: la minaccia di una reazione sproporzionata è sufficiente a dissuadere potenziali aggressori.
L’Italia e l’Europa, per cultura e tradizione, non appartengono a questa categoria di attori internazionali. Non possono giocare la carta della follia temeraria, eppure devono trovare – prima che sia troppo tardi – il modo di essere rispettate. Hanno quindi un’unica scelta: armarsi, e farlo bene, fino a non essere seconde a Russia, Usa e Cina. Non si tratta di spirito guerrafondaio, ma di autentico pacifismo pragmatico: come in carcere, per essere rispettati bisogna incutere timore.
Con buona pace del diritto internazionale, che in fondo si riduce a una sola regola: la legge del più forte (o del più pazzo).
Giorgio Carta, 16 marzo 2025
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