Esteri

Cari pacifisti, vi spiego quale pace va chiesta a Putin

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Pace, Libertà, Giustizia, sono tutti concetti positivi, ispirazioni universali dell’essere umano. Chi, se non un bruto, può dire di non volerli vedere realizzati? Eppure essi sono di una vaghezza impressionante: ognuno li declina a modo proprio. Se da una parte sono degli assoluti morali, assoluti in teoria non possono essere: una Pace assoluta, “perpetua”, non è desiderabile, o meglio essa già esiste e nessuna la vuole perché è la negazione della vita: si chiama morte.

Una buona regola è perciò sempre quella di mettere davanti a questi ideali l’aggettivo “quale” e farli seguire da un punto interrogativo. Va bene, anche nel caso dell’Ucraina, ricercare la pace, ma chiediamoci: quale pace? È evidente che una pace, comunque, non ci può stare bene. Certo, se imponessimo all’Ucraina la resa, si addiverrebbe in men che non si dica alla pace, ma ciò significherebbe che, contro la volontà della maggioranza della sua popolazione, questo Stato non esisterebbe più o si trasformerebbe in uno “Stato fantoccio” al servizio di un padrone per giunta nemmeno democratico. Oltre ad avvalorare un principio che dovrebbe sempre valere, e che, non sempre a ragione, anche noi occidentali abbiamo a volte disatteso: e cioè che uno Stato sovrano non può essere aggredito e il suo territorio annesso con la forza, che le rivendicazioni siano risolte con la prepotenza e non con il dialogo.

Certo, un negoziato per raggiungere la pace prima o poi andrà intrapreso, e sarebbe forse opportuno che qualcuno al momento giusto chiedesse a Mosca le sue condizioni per iniziare a negoziare. Ma l’importante è mettere Mosca in condizioni di accettare ciò che per noi e per gli ucraini è inderogabile: l’autodeterminazione di Kiev, che significa ben vigilare anche poi su Zelenski e i suoi affinché non epurino e discrimino i russofoni a guerra finita. Stabilito il principio, certo si può stare attenti a non “umiliare la Russia”, come si dice, e anche a darle un onorevole “via d’uscita”, ma qui siamo nel campo della tattica non in quello dei principi.

I “pacifisti” insistono poi sul fatto che anche il Papa lo sia. Ma nel caso della Chiesa e del suo sommo Pontefice è da chiedersi: potrebbe essere diversamente? Il cristianesimo ha nel proprio Dna la pace e predica addirittura il “porgere l’altra guancia” al nemico e a chi ci offende e aggredisce. Ma poi, opportunamente, obbliga anche a dare “a Cesare ciò che è di Cesare”, il che significa riconoscere alla forza e alla politica una sua autonomia in questo imperfetto mondo o “valle di lacrime”. Dopo tutto, l’Occidente è proprio questa continua e per fortuna non risolta tensione fra Morale e Forza, fra Papato e Impero per dirla con una metafora. La pace cristiana è testimoniata in questo mondo, ma non è e non può essere di questo mondo.

Corrado Ocone, 19 maggio 2022