Ci risiamo. Un noto giornalista di sinistra, il solito Michele Serra, invoca, nella sua rubrica quotidiana su Repubblica, una “destra normale”. E non si nasconde dietro le parole perché fa anche qualche nome per il pantheon della “destra che non c’è”: Malagodi, Montanelli, Prezzolini. E a proposito di quest’ultimo, egli ricorda i valori che secondo lui la destra dovrebbe avere e che oggi assolutamente non ha: “la destra – scrive – è regola, rispetto delle leggi, tradizione, educazione, cultura alta, quella dei libri”.
Già vari commentatori hanno messo in rilievo il fatto che i nomi portati da Serra siano proprio quelli di noti uomini di cultura ostracizzati, nel pieno della loro attività, proprio dalla sinistra, che li considerava tutti “fascisti” o complici dei fascisti. Ed è pur vero che è un discorso, quello di Serra, che politicamente non ha molto senso: la politica si fa col materiale umano che uno ha a disposizione, che si cerca di incanalare quanto più possibile verso gli esiti ideali a cui si tende. C’è però, a mio avviso, un elemento ulteriore e non considerato che stona non poco nel discorso di Serra. Ammesso e non concesso che esista un concetto di “destra normale” e che l’attuale non lo sia, altrettanto può dirsi, e per tutta la sua lunga storia novecentesca e ancora oggi, della sinistra italiana, che “normale” non è mai stata. Essa è stata sempre per lo più massimalista, faziosa, manichea, violenta, tesa a screditare moralmente l’avversario e quindi ad escluderlo da ogni discorso pubblico.
Oggi, appunto, questa mentalità, permane, e anzi, in virtù del “politicamente corretto”, per certi aspetti si è radicalizzata pur rendendosi meno evidente e più sofisticata. Non è solo questione di episodi come quello di Pierluigi Bersani che, speculando sui morti del Coronavirus, se ne è uscito in tv con un’affermazione francamente vergognosa sui molti morti in più che ci sarebbero qualora a Roma avesse governato la destra. Il problema concerne l’idea che chiunque non la pensa come la sinistra non è semplicemente un avversario da combattere con le armi della politica e della dialettica ma un essere immorale e un poco di buono da ostracizzare e allontanare in ogni modo dal potere, casomai procrastinando le elezioni e non tenendo conto dei risultati da esse emersi. Questo modo di pensare, grazie all’opera compiuta da anni dalla sinistra nella società, è penetrata in tutti i centri nevralgici del potere: dalla burocrazia alla comunicazione; dall’Università, che da libera palestra formativa tende a divenire ogni giorno di più centrale “educativa” delle coscienze, alla magistratura, che non applica la legge ma la interpreta in un’ottica di “democrazia progressiva”.