Cultura, tv e spettacoli

Caro Amadeus, la retorica della sfida ha stufato: vai per soldi e amen

Si rincorrono le voci di un addio del conduttore alla Rai. Lo seguirà anche Fiorello?

amadeus fiorello via dalla Rai? Voci di andare al Nove

C’era una volta un termine che ormai non si usa più, è bolso, è desueto, patetico, si chiamava aziendalista e sbandierava una virtù che nascondeva l’ipocrisia: aziendalista era chi era legato all’azienda per mancanza di alternative. Il termine era invalso anzitutto in Rai, fino ai tempi del monopolio, poi entrò il Cavaliere, alla sua maniera, e saltò tutto: “Raimondo, dopo quanto avevate firmato per Berlusconi?”. “Subito, appena ci ha detto la cifra”. A certi, come alla coppia d’arte e di vita Vianello-Mondaini, andava bene e a vita si accasavano, altri, come Baudo e la Carrà, sarebbero tornati sui loro passi perché è meglio essere sovrani a casa propria che cortigiani nelle regge altrui.

Oggi il mercato, anche quello televisivo, è in perenne subbuglio, la televisione ricorda il pallone, le casacche si mettono e si sfilano in un lampo lampante, aziendalista è una dimensione remota, dimenticata, al più si frigna per darsi un tono, per difendere il blasone. Sapendo che nessuno ci crede e del resto senza alcuna pretesa di essere creduti. Un gioco delle parti. Anche Amadeus e Fiorello, Ama e Ciuri, coppia d’arte e di vita, con famiglie al seguito, molla la Rai e si accoda al reame di Warner, la Nove. Ingrati? No, “liberi di andare verso nuove sfide”. Ma la retorica della sfida ha stufato, ormai ogni voltafaccia si ammanta di nuove sfide, la cantante Annalisa lancia un tormentone insulso dove ha visto “lei che bacia lui che bacia lui che bacia me” che bacia un cavallo e ne parla come di una nuova sfida, tipo la rivoluzione di “Kind of blue” di Miles Davis o la musica dodecafonica di Schoenberg o la musica totale di Frank Zappa. Ma quali nuove sfide, se c’è gente che in Rai era padreterna, erano questi due. Imposti dalla mattina alla sera, padroni di fare e disfare, se Gesù Cristo fosse tornato per il secondo avvento la Rai non se lo sarebbe filato senza prima passare da Ciuri. Certo, loro possono dire: cara azienda, ti abbiamo fatto mietere successi, ma l’azienda potrebbe dire la stessa cosa a loro. Invece non lo dice, gioca in retroguardia, terrorizzata all’idea di perdersi gli ultimi campioni, prospettiva che prima o dopo arriva comunque.

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Le nuove sfide? E quali sarebbero? In Rai, Ciuri apre e chiude i telegiornali, le giornate insieme, lo mettono prime delle guerre, delle crisi, un sospiro di Fiorello tiene banco le 24 ore; quell’altro ha fatto 5 Sanremo a sua immagine, ha lasciato, come dice il cantautore siciliano Mario Venuti, che Sanremo venisse deciso dal figlio adolescente sulla base della piattaforme, e l’entità AmaCiuri impone i rampolli, le consorti, si muove in falange domestica, familistica, nella disinvoltura più libera e perfino tracotante: al primo stormir di critica, viene giù il Padreterno, quello vero, quello desueto, e tutto.

E non serve. Non è servito. Ingrati, dice qualcuno. Ma non è che questi cerchino altrove una libertà difficilmente più ampia, più dorata, non è neanche che fuggano dall’ombra lunga di Telemeloni, balla che giusto qualche intrigante, per ragioni sue, può buttare là. Queste sono le boutade di chi grufola nel deep power, per conto proprio e di terzi, e sapendo dove andare a parare. I cortigiani di lusso cercano, semplicemente, più potere che significa più ingaggio. Amadeus va a dirigere l’intrattenimento, Ciuri, cioè l’intendenza, di lusso, seguirà subito dopo. Questo perché e finché la Rai, il cosiddetto, sedicente, improbabile, servizio pubblico, continuerà a percepirsi come articolazione della politica, cercando di legare a sé gli intrattenitori, i giullari, i propagandisti, gli informatori di regime come suoi strumenti. E può anche riuscirci, blandendoli, facendogli ponti d’oro, ma se uno è un cortigiano, alla fine corre da una corte più facoltosa. La Rai dovrebbe, ma non lo farà mai, decidere chi vuole essere, se una televisione pubblica, dove non contano solo le ragioni e le lusinghe della politica pubblicitaria e propagandistica, oppure un network privato, dove la politica è autocrazia che si misura con i network concorrenti, con tutti i compromessi che una simile condizione comporta.

Ponti d’oro e nessun limite al cielo per Amadeus e Fiorello servono a poco, assecondare ogni pretesa serve a poco perché alla fine le sirene sono più forti. Non è questione di ingratitudine, ma di logiche e le logiche non le decidono i cortigiani: è il committente che dovrebbe offrire un approccio diverso, strategico ma rigoroso. Qui siamo sempre al pappa e ciccia romano, altro che TeleMeloni. Al telespettatore medio può irritare l’idea dei conduttori che grazie alla Rai diventano semidei e subito la salutano perché c’è chi li paga meglio, e magari troveranno anche il modo di salire sulle barricate di una improbabile resistenza culturale, democratica: è il solito gioco delle parti, e fa parte del gioco. E il gioco è sempre quello che diceva 60 anni fa il leggendario promoter di pugilato Bob Arum, tuttora attivo: “Non è mai per soldi: è sempre per soldi”. Se solo avessero la grandezza nella sincerità, e tutto sommato nella riconoscenza, per quanto cinica, di Raimondo Vianello.

Max Del Papa, 12 aprile 2024

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