La libertà di espressione è il sale di ogni democrazia liberale che si rispetti, e come tale va rispettata e difesa. Strenuamente. Soprattutto in un momento storico come quello che viviamo oggigiorno, in cui la cappa del pensiero unico si fa sempre più opprimente e impone rigidi canoni linguistici a cui doversi necessariamente conformare.
Attenzione però: il sacrosanto diritto alla libera espressione del proprio pensiero, non conferisce all’individuo il diritto di poter offendere o denigrare il prossimo. O meglio, tra le libere opinioni possono anche essere fatte rientrare espressioni potenzialmente offensive, calunniose o mendaci, ma, in tal caso, il diritto alla libertà di espressione va per forza di cose a scontrarsi con il diritto dell’altro di tutelare la propria immagine e il proprio buon nome dinanzi ad eventuali dichiarazioni diffamatorie subite.
Per la serie: tu sarai anche libero di dire la tua, anche laddove dovesse trattarsi di un’opinione denigratoria, o persino infamante, ma io, d’altro canto, devo potermi tutelare se ritengo di essere destinatario di affermazioni false e calunniose. In democrazia funziona così. Ma, evidentemente, a determinate latitudini politiche si fatica ad accettarlo, imperando incontrastato quel fastidiosissimo doppiopesismo tale per cui puoi prenderti qualunque libertà solo se stai a sinistra e ti scagli contro chi sta altrove.
Un po’ come accaduto nel caso di Luciano Canfora, il quale, lo scorso 12 aprile 2022 si assunse liberamente la responsabilità di definire Giorgia Meloni una “neo nazista nell’animo” (peraltro dinanzi a una folta platea di adolescenti), e, adesso, urla allo scandalo se, altrettanto liberamente, la leader di Fratelli d’Italia decide di querelarlo. Allo stesso modo, altri 250 rappresentanti di associazioni politiche, culturali e sindacali ideologicamente vicini a Canfora, si sono prontamente prodigati per corrergli in soccorso, perché, a loro dire, bersaglio di un’azione legale pretestuosa da parte della Meloni, rea, udite udite, di voler imbavagliare lo storico.
Orbene, tralascio volutamente qualsivoglia commento personale sulle dichiarazioni incriminate, ma non posso esimermi dal ricordare ai tanti canforiani indignati che a stabilire se le affermazioni del loro beniamino abbiano varcato o meno i limiti costituzionali della libertà di opinione sarà un giudice, e non certo il Presidente del Consiglio dei ministri. Si chiama democrazia. L’esatto contrario del nazismo richiamato dallo storico nelle sue dichiarazioni. Quella democrazia che consente a Luciano Canfora di potersi avventurare liberamente in simili uscite a vuoto. La stessa democrazia che riconosce al contempo a Giorgia Meloni il sacrosanto diritto di tutelarsi dagli attacchi dei suoi detrattori. Democrazia, non bavaglio.
Un concetto che, ancora una volta, gli attentissimi paladini delle libertà a corrente alternata dimostrano di ignorare completamente.
Salvatore Di Bartolo, 29 marzo 2024
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